Domenico Tranquilli. Un vulcano di idee, un visionario lucido e sempre attuale. Oggi ricordiamo con affetto un maestro ed un amico. Se OIKOS è quello che è lo dobbiamo senza dubbio anche a lui.
Il nostro ricordo affettuoso
Giovanni Tonutti – Presidente Oikos Onlus
“Tu sì, a te ti prendiamo. Stai sicuro che ti richiamo presto, non oggi, scordati che ti richiamo oggi ma ci risentiamo perché te ti prendiamo di sicuro”.
Era il 26 novembre del 1997 e quello era l’esito finale di un colloquio di lavoro assolutamente surreale. Fu quella la prima volta in cui incontrai Domenico Tranquilli, al tempo presidente e direttore dell’IRES FVG. Rientrai a casa, pranzai e nell’immediato dopo pranzo suonò il telefono. Era lui, l’uomo dal forte accento marchigiano, che mi disse “Vieqquà che oggi è il tuo giorno fortunato”. E quel giorno effettivamente fu la svolta per la mia vita.
Entrai all’Ires senza nemmeno sapere bene che tipo di organizzazione fosse. Gente giovane, motivata, ambiente informale con a capo LUI un genio autentico, un fuoriclasse che sapeva vedere lungo, che aveva sempre una risposta in grado di spiazzarti. Timido senza voglia di apparire ma spavaldo nella forza dei suoi argomenti.
Io a lavorare in un Istituto di Ricerche? Mi suonava un po’ strano. Ma l’Ires creata da Domenico Tranquilli non era solo un istituto di ricerche ma un laboratorio di contenuti, un’occasione per continuare a studiare lavorando. Per crescere intellettualmente e professionalmente.
Domenico Tranquilli, quell’uomo di Ascoli Piceno timido, schivo e irascibile, dai modi di fare schietti ma gentili, rude ma mai a sproposito, aveva creato un’autentica fuoriserie.
Siamo entrati in 6 quel mese, me lo ricordo ancora. 6 giovincelli con alle spalle il solo percorso universitario, senza né arte né parte. Ci mise a disposizione dei professionisti adulti, capaci e di spessore per farci crescere.
E’ all’Ires che ho capito che fare ricerca significava studiare e continuare ad essere curiosi. Ed è sempre all’Ires che ho capito che scrivere un report non puo’ e non deve essere il punto di arrivo ma il punto di partenza da cui elaborare contenuti da trasmettere in ambito formativo o rielaborare in documenti progettuali.
Gli ci volle poco tempo per capire che non sarei mai stato il ricercatore di punta dell’Ires FVG ma che forse – vista la mia spiccata inclinazione a cercare sempre un senso di concretezza nelle cose che facevo e la mia capacità di asciugare i ragionamenti – nel campo della progettazione potevo giocare le mie carte.
Mi mise alla prova, mi spiegò – insieme a Gabriele Blasutig e Paolo Tomasin che come Tranquilli non finirò mai di ringraziare – cosa significava scrivere un progetto.
Mi insegnò che un progetto era buono certamente se veniva finanziato ma soprattutto se era in grado di lasciare un impatto positivo e concreto nella società. Il progetto – diceva sempre – per essere efficace deve associarsi al percorso di crescita, personale, culturale, professionale delle persone coinvolte.
Ancora mi spiegò come distinguere fra obiettivi, risultati, attività, strategia e come mettere tutto nero su bianco.
Dopo una nottolata di lavoro gli portai un mio primo elaborato. Diciamocelo, non ne era venuto fuori un progetto ma un autentico casino poco comprensibile. Mi guardò e mi disse: Ci hai lavorato parecchio, vedo che hai scritto, quindi te lo leggo. Mi sottolineò anche le virgole sbagliate, mi prese vicino a sé e mi spiegò come e dove aggiustare il testo.
Da quei primi passi maldestri nacque quello che ho sempre fatto sino ad oggi: il progettista.
Ma Domenico Tranquilli insegnò a me e agli altri ricercatori IRES molto di più. Ci spiegò che un progetto non aveva senso se non stava dentro una visione di futuro e che doveva essere parte di un sogno da coltivare. Ci insegnò che la correttezza era un valore imprescindibile nel lavoro come nella vita e soprattutto che il lavoro e la dedizione alla fine pagano.
Instancabile e sempre entusiasta pretendeva impegno e sostanza. Li preferiva alla forma, all’apparire o alla cura dell’immagine. Un approccio sanguigno al sapere e alla conoscenza.
Bisogna essere concreti e arrivare al risultato, “Meglio è nemico di bene” usava dire. Tradotto : il lavoro va fatto, tutto è perfettibile ma è meglio un buon lavoro finito che una meraviglia incompiuta.
Ci ha insegnato la concretezza e ci ha trasmesso la malizia (arma indispensabile di chi fa lavoro di progettazione). Ci ha fatto capire che con una tastiera fra le mani si poteva smuovere il mondo, a condizione che a monte ci fossero curiosità, studio e approfondimento. Ci ha spiegato il valore dell’intraprendere in modo originale e ragionato. Se eri in grado di progettare avevi il futuro assicurato perché alla fine un progetto te lo portavi sempre a casa, e con quello anche il “panetto”. Ma soprattutto se eri in grado di progettare potevi tradurre i tuoi viaggi onirici in progetti di serio impatto sul territorio.
La vera sfida era fare della cultura e della voglia di conoscenza la leva vincente di un’azione di intrapresa. Una costante ammirazione la sua per la figura dell’imprenditore : uomo/donna che rischia, che scommette, che non si arrende, che si mette in discussione, che sa cambiare, che sa ripartire. Ebbene l’evoluzione dell’imprenditore era lui, che aveva saputo coniugare cultura con azione d’impresa, studio e ricerca con la sostenibilità economica, l’approfondimento con la capacità di svolgere il ruolo di denuncia e di coscienza critica della società e delle istituzioni.
Sabato mattina ero in giro con la mia bici da corsa. Mi sono fermato a sorseggiare un po’ d’acqua dalla borraccia, uno sguardo al cellulare e il messaggio che non avrei voluto leggere: “Domenico ci ha lasciati questa mattina”. Ho fatto gli ultimi 15 km con il cuore in gola e le lacrime agli occhi.
Perché scrivo qui sulla pagina di OIKOS, insieme a Federico (Vice Presidente di OIKOS Onlus), il mio ricordo di Domenico Tranquilli?
Perché se non avessimo incontrato Domenico Tranquilli sulla nostra strada OIKOS molto probabilmente non sarebbe mai nata.
Non saremmo mai stati in grado di tradurre una visione del mondo in una realtà economica e sociale che si sente sempre libera di esprimere il proprio punto di vista. Senza di lui ci sarebbe mancato un faro guida, non avremmo ricevuto ispirazione e non avremmo saputo come muoverci.
Se OIKOS oggi è quello che è lo dobbiamo senza dubbio anche a Domenico Tranquilli.
Instancabile lavoratore della conoscenza, insaziabile visionario, sempre capace di guardare avanti. Ora ovunque tu sia, che il tuo sguardo e la tua lungimiranza continuino a guidarci. Grazie e buon viaggio Dr. Tranquilli.
Domenico Tranquilli e Giovanni Tonutti
Federico Bianchi – Vicepresidente Oikos Onlus
Sarò più breve di Giovanni, che ha sottolineato molti aspetti salienti del bagaglio di conoscenze che ci ha trasmesso Domenico Tranquilli e che condivido pienamente.
Non è facile condensare tutti i ricordi che in questo momento affiorano nella mia mente riguardanti il mio percorso, professionale e umano, con Tranquilli. Ho lavorato con lui, e grazie a lui, all’Ires e all’Agenzia Regionale del lLavoro, l’ho intervistato per altre ricerche e gli ho rotto le scatole per condividere riflessioni e ricevere pareri, suggerimenti e spunti su lavori che mi hanno commissionato in seguito. E lui, sempre con estrema generosità, non si è mai tirato indietro, anzi ha risposto con entusiasmo, animandosi nella spiegazione dei meccanismi e delle dinamiche relativi al mondo della produzione e delle imprese, al mercato del lavoro, al sistema dei servizi con una visione ampia, complessiva che andava sempre al di là del banale.
Mi ha insegnato molto, moltissimo, forse tutto!
Mi ha insegnato a essere quel “ricercatore” che aveva in mente lui: quel ricercatore, progettista, formatore e consulente che analizza la realtà, sì con i numeri, ma che anche interpreta quei dati andando con umiltà a chiedere ai “veri” esperti, lavoratori, fruitori di un servizio, persone che vivono quotidianamente in quella condizione e in quella situazione, come funziona quella realtà;
questo non finalizzato a una conoscenza sterile, ma a sua una profonda comprensione, per poter poi progettare interventi che possano cambiarla, almeno in parte,e per intervenire ulteriormente diffondendo il più possibile le informazioni raccolte.
E ancora. Mi ha insegnato a gestire le relazioni con i collaboratori, a far parte di un gruppo di lavoro dove non ci sono “prime donne”, ma dove tutti contribuiscono con il loro punto di vista a far crescere gli altri, e alla fine a portare a casa il lavoro. Mi ha insegnato a rapportarmi con tutti, anche con le persone “più in vista” del mondo istituzionale, rispettando certamente il loro ruolo e la loro posizione, ma senza timori perché in fondo sono uomini come noi, con cui si può discutere e confrontarsi.
Mi ha insegnato… a credere in quello che faccio, a rischiare, a studiare e a migliorare continuamente… e voglio concludere scrivendogli in maniera simile alle tante e-mail che gli mandavo:
“Gentile dottor Tranquilli, le invio una bozza di alcune riflessioni che ho scritto in suo ricordo. Ci sentiamo per gli aggiustamenti. A presto. Federico”.