Intervista ad Anna Paola Tarulli, cooperante di OIKOS Onlus in Colombia
Qual è il tuo ruolo nel progetto Economias Nuevas?
Sono qui dallo scorso aprile come rappresentante di OIKOS all’interno del progetto. Sostanzialmente, il mio ruolo è di monitorare l’andamento del progetto: assicurarmi che tutte le attività procedano al meglio e nei tempi prestabiliti. Questo presuppone che io abbia a che fare con una serie di attività: ad aprile abbiamo avviato le due scuole, il Tecnico Laboral in Elettricita con enfasi in sistemi fotovoltaici e il Tecnico Laboral in agropecuaria con enfasi in agroecologia. Siamo poi impegnati nella costruzione di un centro dimostrativo sulle energie pulite in cui al momento gli studenti svolgono le attività formative mettendo in pratica ciò che hanno imparato durante il corso, e che in futuro sarà utilizzato come luogo fisico per riunioni, incontri e approfondimenti sul tema delle energie pulite. Siamo alle prese con la costruzione di un’azienda agroecologica comunitaria nella zona del Sande, particolarmente colpita dal conflitto armato. L’obiettivo finale è generare “emprendimientos”, ovvero lavoro per i beneficiari del progetto che metteranno in pratica quanto imparato e svolgeranno le proprie attività nel rispetto dell’ambiente e in armonia con il territorio.
Quali sono nel concreto le strategie insegnate ai campesinos locali per la riconversione delle loro produzioni a un’economia sostenibile?
Innanzitutto occorre specificare che uno dei principali obiettivi di un’economia sostenibile è la produzione di alimenti che siano liberi da contaminanti, attraverso l’utilizzo di tecniche rispettose dell’ambiente e capaci di massimizzare e migliorare la produzione agricola attraverso processi naturali. Per esempio, alcune di queste tecniche sono finalizzate alla prevenzione e al controllo di malattie o all’adozione di strategie agroecologiche tradizionali che riducano la vulnerabilità del suolo: la diversificazione delle coltivazioni, il mantenimento della diversità genetica locale attraverso la coltivazione di semi nativi, o l’aggiunta di materia organica al suolo. Il suolo è la base di tutta l’attività agricola. Ed è proprio per questo che molte tecniche agroecologiche insegnate ai locali sono finalizzate a preservare la salute del suolo.
Quali sono le principali barriere (organizzative, strutturali, ambientali o di qualsiasi tipo) che le economie locali e contadine di Samaniego devono fronteggiare nell’implementare un progetto di riconversione a un’economia sostenibile?
Sono tante, e possono estendersi anche a livello nazionale. Povertà, cambiamenti climatici, basso livello di educazione, sicurezza pubblica: tutte queste sono vere e proprie macro-barriere che rendono più complesso il passaggio ad un’economia sostenibile a livello locale cosi come a livello nazionale e il ruolo del settore privato, della società civile e dei governi locali è centrale affinchè la Colombia possa operare questa riconversione.
Dal confronto con i locali emerge che la Colombia soffre gli effetti negativi del cambiamento climatico? Quali sono gli effetti concreti sulla terra?
Sì, e le conseguenze coinvolgono soprattutto i piccoli agricoltori familiari, che poi sono i destinatari del progetto Economias Nuevas. Per esempio, è stato registrano un incremento delle inondazioni, o i forti periodi di siccità che causano gravi danni alle coltivazioni. Come dicevo, l’agricolutra campesina, l’agricoltura familiare, è particolarmente vulnerabile di fronte a questo tema a causa della sua condizione di marginalità;
allo stesso tempo, da quello che ho potuto notare in questi primi sette mesi, questo tipo di agricoltura ha una notevole capacità di adattarsi al cambiamento climatico proprio grazie a strategie e tecniche che questi piccoli produttori hanno ereditato dalle propie tradizioni ancestrali.
Questo è anche il bello di questo territorio, il forte legame con la terra che si tramanda di generazione in generazione e un forte rispetto per la Pachamama, la Madre Terra, che vede la terra come una risorsa bisognosa di cura e dedizione. E sono proprio questi sistemi tradzionali, uniti alla conoscenza delle tecniche agroecologiche, che dimostrano più resilienza di fronte al cambiamento climatico. Il timore è però che l’utilizzo di queste tecniche tradizionali non sia suffuciente e poprio per questo è importante che la risposta al cambiamento climatico sia data dall’alto, da una attività di coordinazione e cooperazione intergovernativa. I campesinos possono resistere al cambiamento climatico, adattarsi, essere resilienti…però una risposta deve venire dall’alto.
In occidente la questione climatica è entrata a pieno titolo nel dibattito pubblico. Adesso il tema tocca tutti, e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico viene inserita regolarmente come obiettivo comunitario nelle Agende europee. In Colombia che tipo di narrazione ufficiale c’è del cambiamento climatico?
La Colombia è uno dei paesi del mondo che più sta subendo le conseguenze negative del cambiamento climatico. L’attuale presidente Gustavo Petro, primo presidente di sinistra in Colombia, eletto a maggio e entrato in carica da poco, ha cambiato totalmente il discorso della politica colombiana in molti aspetti, tra cui quello relativo al cambiamento climatico. Proprio recentemente si è tenuta in Egitto la Cop27 e il presidente Gustavo Petro è stato molto duro con le istituzioni, definendo come vero e proprio fracasso le precedenti COP. Tra le varie azioni che Petro ha annunciato c’è per esempio la decisione di consegnare 200 milioni di dollari annuali ( durante 20 anni) per preservare la foresta amazzonica, sperando di trovare come alleati anche Brasile (con il suo attuale presidente eletto Lula, dopo che il suo predecessore Bolsonaro non ha fatto altro che contribuire alla deforestazione di ettari e ettari della selva amazzonica) e con Venezuela.
E tra i campesinos?
Tra i campesinos è evidente una forte preoccupazione per il cambiamento climatico, proprio perché rappresentano la fascia più vulnerabile della popolazione e vivono in zone marginali con bassi indici di sviluppo e una elevata povertà. Nonostante la forte capacità di resilienza che li caratterizza, si sentono impotenti di fronte ad eventi simili e sperano in una risposta rapida e coordinata da parte dei governi. I campesinos si identificano con il loro territorio, la terra in cui vivono è parte della loro essenza: se muore la terra, vedono morire una parte di sé e della propria memoria storica.
Nelle economie occidentali, negli ultimi trent’anni le piccole produzioni agricole e contadine sono state strozzate dalla competizione delle grandi produzioni di tipo intensivo e industriale, che generano sfruttamento e caporalato e rompono il legame diretto tra gli agricoltori e le colture, che rappresenta tutto il valore “spirituale” e immateriale del lavoro agricolo – pensiamo anche soltanto al Sud Italia. In Colombia è successo qualcosa di simile? Le piccole economie locali sono minacciate da grandi sistemi produttivi?
Quindi in conclusione, da sempre le piccole economie locali si son viste minacciate dalle grandi imprese multinazionali, ed è proprio a causa di questa costante minaccia che la Colombia è tuttora una terra macchiata dalla violenza e dal conflitto. Sin dagli anni ’60, la questione della distribuzione della terra in Colombia ha rappresentato un grande problema; l’espropriazione da parte dei grandi proprietari terrieri (che con il tempo si sono convertiti in grandi multinazionali) a discapito dei campesinos ha generato profonde disuguaglianze sociali. Proprio a causa di questa diseguaglianza nella distribuzione della terra, con l’obiettivo di combattere queste forme di oppressione vennero a formarsi i gruppi armati che tuttora spadroneggiano in Colombia. La questione fu trattata come primo punto durante gli accordi di pace dell’Avana nel 2016; ma le iniziative legislative per attuare questa re-distribuzione della terra morirono ancor prima di nascere. Quindi è dagli anni 60 che nasce questa costante lotta tra lo stato colombiano, rappresentato dalle grandi multinazionali, e i campesinos, rappresentati dai gruppi armati. Il nuovo presidente Gustavo Petro propone la cosidetta “paz total”, che consiste in un costante dialogo con i gruppi armati al fine di far cessare la violenza che da decenni è presente sul territorio.
In che modo la presenza costante di gruppi armati sul territorio incide sul modo di fare agricoltura in Narino (sul tipo di colture, sui modi di coltivare ecc.)?
La risposta è abastanza complessa e a mio avviso affonda le sue radici nelle forme di finanziamento dei gruppi armati. Inizialmente si trattava di sequestri, estorsioni e altre attività illecite di questo tipo. Con il tempo, e con l’avvento del narcotraffico verso la fine degli anni sessanta, i gruppi armati, e in particolare le FARC (Fuerzas armadas Revolucionarias de Colombia) hanno capito che uno dei modi per finanziare le proprie attività era proprio farsi uno spazio nel sistema del narcotraffico. Per questo oggi si parla di narco-guerriglia: la guerriglia in questi territori finanzia molte delle proprie attività attraverso il così detto “cobro de gramaje” che consiste nella richiesta di una quantità di denaro ogni chilo di pasta di coca processata dai campesinos nei territori controllati dalla guerriglia, come una sottospecie di pizzo. In cambio, i campesinos possono coltivare la coca “in tranquillità” e trarne un guadagno che sicuramente è molto più proficuo rispetto a qualsiasi altro prodotto, sopratutto in zone in cui lo Stato è praticamente assente per la forte presenza di gruppi armati. Infatti, qui in Colombia è evidente la forte incapacità dello Stato di “far presenza” in alcuni territori, che sono proprio i territori controllati dai gruppi armati ed è per questo che questa disarticolazione istituzionale e la sua totale mancanza di connessione con la realtà locale, creano le condizioni ottimali affinchè economie criminali possano continuare a fare i propri interessi sul territorio.
Fatta questa premessa, la risposta alla tua domanda è logica. I contadini preferiscono coltivare la coca anziché altri prodotti proprio perchè la coca “es mas rentable”, in sostanza….conviene da un punto di vista economico. Fare la guerra ai contandini è totalmente sbagliato perché loro rappresentano la parte che meno guadagna da questo grande mercato illegale, e molto spesso non hanno scelta. Per combattere davvero la violenza, è necessario cambiare rotta, ovvero: non bisogna colpire i piccoli campesinos che coltivano coca, ma lì dove la cocaina si trasforma in “plata” , in denaro. I campesinos non sono il narcotraffico. Il narcotraffico ha la cravatta…il narcotraffico è potere. É lì che bisogna colpire se realmente si vuole mettere fine a questo problema che affligge la Colombia da decenni!
Che rapporto hanno i contadini colombiani con la terra? E in che modo un progetto come Economias Nuevas può valorizzare o tutelare questo legame?
Per i contadini colombiani, così come per gli indigeni che rappresentano una buona parte della popolazione nel territorio, la terra non solo è un mezzo di produzione ma è anche e sopratutto uno spazio di vita, di intercambio di culture, di spiritualità e di identità. I contadini colombiani si identificano con le terra e sono parte di essa al punto da considerarla una vera e propria divinità: la “Pachamama”, che in lingua quechua significa per l’appunto “Madre Terra”.
Pensa che molti vulcani prendono il nome di “Taita” che in quechua significa papà, inteso anche come maestro, guida spirituale. Ogni elemento naturale ha un proprio nome in quechua, per esempio Yaku, è come qui chiamano l’acqua, fonte di vita che irriga i campi e li rende produttivi. O ancora il fuoco, nella loro cultura è un “abuelo”, un nonno, che conserva tutta la saggezza e i saperi più antichi. É un legame che noi occidentali abbiamo completamente dimenticato. A noi occidentali tutto è dovuto, la terra è al nostro servizio mentre qui per la terra si ha un profondo rispetto. A volte, per addentrarsi in un bosco, scalare una montagna o immergersi in un lago o un fiume, qui si chiede il permesso alla terra. Progetti come Economias Nuevas valorizzano senza alcun dubbio questo legame che i campesinos e i nativi di questi territori hanno con la terra, richiamando il concetto di Buen Vivir inteso come il rapporto diretto con la terra a cui le comunità appartengono e sono orientati a migliorare l’offeta formativo-produttiva presente nel territorio grazie alla diffusione delle nuove modalità di fare impresa e di saperi basati sulla valorizzazione delle tradizioni ancestrali.