«[…] con questi, chiamiamoli per quel che sono, dittatori, di cui però si ha bisogno […]».
Le parole del premier Mario Draghi – pronunciate ieri in conferenza stampa – sono pietre e pesano tantissimo. A colpirci non è il fatto che il nostro Premier definisca Erdogan un dittatore, questione che ha fatto infuriare il Governo turco. A farci rabbrividire è – invece – la candida ammissione che Erdogan è un «dittatore di cui abbiamo bisogno». Sono parole gravissime, pronunciate a pochi giorni di distanza dai ringraziamenti alla Libia per i «salvataggi» in mare (qui un articolo di Avvenire).
Erdogan è utile all’Europa perché, a suon di miliardi, trattiene i migranti lontano dalla “rotta balcanica” e lontano dalle nostre coste. Poco importa se in Turchia, come in Libia, i diritti umani non vengano rispettati. Poco importa se continuiamo a finanziare i lager libici dove le persone – e ribadiamo “persone” – vengono torturate. Poco importa la dignità umana: cosa saranno mai, infatti, questi diritti umani di fronte all’opportunità per lo Stato di non dover gestire migranti in cerca di una vita migliore, in fuga da fame e guerre?
La Turchia e i diritti delle donne
La Turchia è da poche settimane uscita dalla Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta contro la violenza di genere e la violenza domestica (qui un articolo su Dinamopress). La notizia era quasi scivolata nel dimenticatoio, quando va in onda la scenetta dello sgarbo della mancata sedia per la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. Dire che questi sono episodi separati gli uni dagli altri significa non voler guardare al cuore del problema. Un personaggio come Erdogan potrà continuare a fare di tutto: a praticare ogni tipo di umiliazione nei confronti delle donne da una parte e dell’Unione Europea dall’altra.
Noi continuiamo a pagare miliardi di euro alla Turchia perché faccia da argine ai flussi migratori verso l’Europa, in questo lasciamo saldo nelle sue mani il coltello dalla parte del manico. Ma appunto queste sono le sempre prioritarie ragioni di stato, da anteporre sempre alla dignità umana, ai diritti delle donne, dei migranti, insomma, ai diritti umani.
Regeni, Zaki e Paciolla
E sono sempre la dignità delle persone e il rispetto dei diritti umani ad essere messi in coda alle priorità dello Stato: è il caso della richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni e della scarcerazione di Patrick Zaki rispetto alla vendita delle armi.
Le parole di Draghi, specchio di una classe dirigente
Dunque le parole di Draghi sono gravissime, ma sono la schietta rappresentazione di una classe dirigente, italiana come europea, sprezzante nei confronti del valore della vita umana, che vive i diritti umani come un fastidio. Una classe dirigente che si volta dall’altra parte di fronte ai morti nel mediterraneo, che non è capace nemmeno di alzare la voce contro la reticenza delle Nazioni Unite sulla reale vicenda della morte di Mario Paciolla.
Possibile che un uomo come Draghi non colga il fatto che il rispetto dei diritti umani e lo sviluppo economico sono questioni correlate? In che senso? Se io scambio merci, beni e servizi con chi non rispetta i diritti dei lavoratori, continuerò a giocare al ribasso, e anche i diritti nel mio Paese tenderanno a comprimersi, in nome della competitività: così facendo non avremo mai delle economie solide e capaci di generare ricchezza e benessere sociale.
Dal Governo Draghi, come da quelli che lo hanno preceduto, non ci siamo mai aspettati grandi afflati di umanità, in questi giorni però è arrivata la triste certificazione che l’Italia e l’Europa hanno vergognosamente abbandonato i valori stessi su cui dicono di essere fondate. Con buona pace della nostra Costituzione, della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Speriamo arrivino tempi migliori prima di essere costretti ad alzare definitivamente bandiera bianca.
Giovanni Tonutti
Presidente di Oikos onlus