Sono le prime ore del pomeriggio, sono in Casa Patrick in ufficio e sto lavorando al pc. Sollevando lo sguardo vedo Mardoché, un bambino “della Casa” in sedia rotelle accompagnato dalla sua amica Gracia. Mi chiede: “Posso restare qui?” Allora Gracia se ne va e noi restiamo assieme tutto il pomeriggio interrompendo i silenzi e la concentrazione del lavoro con delle piccole ma molto interessanti conversazioni. Non era la prima volta che Mardoché mi chiedeva di spostarsi dal luogo all’esterno della struttura dove ama spesso restare (sotto un albero davanti la Casa Patrick) e venire in ufficio impegnandosi anche in qualche disegno. Vedo che ama molto le auto, i pesci e le case perché sono quelli i temi che riproduceva sui fogli. Gli chiedo: 2Mardochè, perché rappresenti spesso le auto, le case ed i pesci?” Mi risponde: “L’auto, perché voglio andarci, le case, perché ora vivo in una casa e i pesci, perché li mangio”. La storia di Mardoché, è la storia di 99 bambini che abitano ora in Casa Patrick e che trovano qui un tetto al disotto del quale possono crescere e trovare la possibilità d’essere curati, di magiare e di restare insieme con delle persone che condividono e vivono le stesse difficoltà, e di poter frequentare la scuola.
Guanela, un bambino di 9 anni con un ritardo mentale che è stato trovato abbandonato sulla strada nel quartiere povero di Kinshasa. I suoi genitori restano ancora sconosciuti. Abita in Casa Patrick da 7 anni. Bambini dimenticati, isolati, chiamati e considerati “stregoni”. Bambini visti come responsabili dei mali della società e delle loro famiglie. “La prima volta che sono arrivata qui, dice un educatore della Casa, ero veramente stupito di sentire numerosi commenti fatti dalla gente che dicevano: Guarda! Sono matti! Ma io sapevo che essi avevano molte cose da dire e molte ricchezze e qualità da mostrare che gli altri attorno a loro non avevano considerato”.
Bambini con handicaps fisico-mentali che soffrono spesso di crisi epilettiche et che nella loro vita hanno vissuto molti traumi, il primo di tutti quello di essere abbandonati dalle loro famiglie.
Qui alla Casa noi cerchiamo con il nostro personale e con il cuore di dare loro rispetto, dignità, e cure mediche e di dare un po’ di tempo per restare assieme animandoli e facendo con loro numerose attività proposte loro di stimolarli e di farli sentire gli esseri umani in quanto tali che essi sono.
99 sorrisi, 99 bambini da 5 a 20-24 anni (Fortunat, il ragazzo più grande9, 99 persone capaci di comunicare e di esprimersi in diversi modi disegnando, suonando il TAM-TAM. Spesso, essi restano anche in silenzio e partecipano tutti alla vita della Casa mangiando assieme, andando a dormire insieme. Rientrando dalla scuola Saint- Claret ho letto sul muro della scuola una scritta con lettere maiuscole: “Che tutti gli umani sappiano che sono amati. In questo modo noi possiamo vivere in pace con sé stessi e con gli altri”. Quando cammino tutte le mattine attraverso l’ospedale arrivando alla Casa rifletto attentamente su queste parole e loro continuano ad abitare nella mia testa pensando che tutti, grandi e piccoli, hanno il diritto d’essere trattati come degli esseri umani. Sono arrivata qui in Pediatria di Kimbondo e alla Casa, così amano chiamarla tutti quanti, da qualche tempo e continuo a scoprire molte cose e capisco l’importanza di fare tutto quello che noi possiamo per riuscire a garantire e a proteggere il bene dei piccoli dando a ciascuno la possibilità d’esprimersi e di vivere secondo le proprie capacità personali e di realizzarsi in un futuro.