Proponiamo oggi un altro racconto di viaggio, questa volta la narratrice si chiama Nicole: ciò che mi colpisce, leggendo questi contributi, è la profondità d’animo e la sensibilità di queste ragazze e ragazzi, conosciuti pochi mesi fa e che pare avere da sempre accanto. Probabilmente le affinità della nostra “missione” corrispondono con le anime che si affacciano per la prima volta alla cooperazione. Buona lettura!
Qui non ho bisogno di nulla che io non abbia già.
Proprio come mi ha detto Ismael quel giorno di inizio Agosto, camminando fra i mercati di Kinshasa: “Aquí nunca pienso en lo que no tengo. Siempre pienso en lo que tengo. Y estoy feliz.” (Qui non penso mai alle cose che non ho, ma penso sempre a quello che ho. E sono felice).
Ed è così che mi sono sentita per tutti quei trenta giorni vissuti alla pediatria di Kimbondo, Repubblica Democratica del Congo: felice.
Alcuni dicono che la felicità è una scelta, e credo sia vero, ma credo anche che l’ambiente che ti circonda possa in qualche modo influire sul tuo approccio alla vita.
L’Africa cura, guarisce anche dalle ferite se la lasci fare, se lasci lontano ogni tua certezza e convinzione, ed ha uno straordinario potere: quello di aprirti gli occhi e farti guardare le cose per ciò che sono. Senza filtri, senza veli tra te e la verità. E spesso la verità che ti getta in faccia non è tra le più rosee.
Il primo incontro che fai non appena metti il piede su un suolo nuovo, è quello con il suo odore. L’odore dell’Africa è forte, pungente e, con l’andare dei giorni, finirà per impregnare tutto di te, la tua pelle, i tuoi vestiti, tutto quanto. Non te ne renderai nemmeno conto di averlo così addosso, ma una volta tornata a casa, lo ritroverai lì con te, identico a se stesso, nel momento in cui riaprirai la valigia…e con esso usciranno tutti i tuoi ricordi, tutti insieme…tutti dentro a quell’odore.
Così ha inizio tutto.
Così ha inizio questo viaggio come volontaria presso la pediatria, ed è un fantastico viaggio, perché vissuto insieme a dei nuovi compagni che non conoscevo prima, e che strada facendo si riveleranno dei veri e propri compañeros…e tutto ciò che viviamo ci unirà al punto da farci diventare amici per sempre.
Il sole è già tramontato quando arriviamo all’aeroporto N’djili di Kinshasa. E’ il 18 luglio 2016.
La capitale ci accoglie mostrandoci subito quella che è la vita di una tale enorme città, dove la lotta per la sopravvivenza è spietata, e dove ritrovarsi nel caos delle sue strade può trasformarsi in un puro delirio. Soltanto per uscire dal parcheggio dell’aeroporto ci mettiamo due ore: siamo nel bel mezzo di un vero e proprio
“imbottigliamento alla congolese” (i congolesi stessi lo chiamano così) di auto e furgoni, tra grida, clacson impazziti e persone che si urlano frasi incomprensibili in lingala dai finestrini.
Non voglio pensare a quanto ci metteremo per attraversare tutta la città ed arrivare a Kimbondo, che dista circa una trentina di kilometri da Kinshasa.
Ed infatti arriviamo in pediatria dopo altre due ore di viaggio.
Percorrendo la strada, perché qui è per strada che la vita vera accade, capiamo subito quale sia il “mood” congolese, questo modo di vivere e andare piano piano, “malembe malembe” dicono loro, e lo ripetono spesso, e come sia inesistente la preoccupazione, tipica dell’occidente, del tempo che scorre. Questo
Congo mi piace già!
Tutto quello che accade nei giorni successivi al nostro arrivo è un vortice di emozioni e situazioni che non ho mai vissuto prima e dal quale mi lascio travolgere senza opporre la minima resistenza.
Bambini dagli occhi grandi e neri, bambini che mi abbracciano e gridano il mio nome, voci che parlano lingala, francese, spagnolo…
“Bonjour!” mi dicono le persone che incontro ovunque, accompagnando il loro saluto sempre da un sorriso.
Polvere, sabbia, tanta sabbia, sabbia dentro alle scarpe, sabbia dentro i calzini, musica, Waka-Waka, balliamo!…palloncini colorati per i bambini della Neo, disegni e colori con i bambini del Foyer, il mio letto con la zanzariera che scende dal soffitto, la doccia ghiacciata, il bucato steso al sole davanti alla cucina, “C’è
l’acqua!!”, facciamo i braccialetti con le ragazze di Casa Betty, il suono del vento fra gli alberi, gli abbracci dati e ricevuti dai miei compagni di viaggio, il camion che un giorno ci ha portati a Kinshasa, posso cantare tutto il giorno!, i dondoli del parco giochi della Neo, gli sguardi che quando si incrociano con il mio si
abbassano per timidezza, la dignità e l’infinita umiltà delle donne che camminano dentro ai loro vestiti colorati, con i loro bambini dietro alla schiena, la loro eleganza, che è dentro, e non fuori…il fiume Congo (che di così immensi non ne ho mai visti!), il tramonto sul fiume Congo, le strade straripanti di vita, le
innumerevoli contraddizioni che convivono in una realtà così complessa come quella di questo meraviglioso continente, sfruttato e violentato, davanti al quale non puoi rimanere indifferente.
Qui posso fermarmi ad ammirare la magia di un tramonto come facevo da bambina, senza fretta. Qui posso essere ciò che sono e valere per quella che sono.
Essere utile così come sono, senza dover per forza dimostrare qualcosa. Sono io, me stessa, e va bene così. L’umanità e la sensibilità sono tutto ciò che basta. E sarebbero tutto ciò che serve.
Quando racconti di un viaggio, credo si debba raccontare anche di quello che succede dopo, di quella parte del viaggio di cui nessuno parla mai, che è il ritorno, e che spesso fa male, perché destabilizza, perché come ci ha detto padre Hugo quando ci ha salutati: “Partire è un po’ morire”. Ma questa è la parte del viaggio da dove ha inizio ciò che sei diventata, da qui ha inizio il tuo nuovo io.
Tutti i ricordi vivono dentro di te. Sono loro adesso che ti fanno brillare gli occhi; ciò che sei diventata è il frutto delle emozioni che hai provato e dell’esperienza profonda che hai vissuto.
Mi porto dentro i cieli stellati di Kinta, il vivere a contatto con la natura e i suoi ritmi, sì…perché per cinque giorni abbiamo vissuto in una fattoria in aperta savana, a contatto con la gente del villaggio, con la loro vita fatta della cosa più importante, e che il mondo da dove provengo sta perdendo: la semplicità.
Ma c’è una cosa che mi porto dentro più di tutto, ed è l’infinita dolcezza dei bambini che ho conosciuto in pediatria. La vita non si è comportata in maniera delicata nei loro confronti, molti di loro portano già i segni profondi di ciò che hanno vissuto, forti e fragili allo stesso tempo. I loro occhi sono riusciti a
disarmarmi completamente, la loro prepotente e contagiosa voglia di vivere mi ha fatto rinascere una seconda volta.
Occhi vivaci, occhi felici, ma anche occhi malinconici di chi da sempre ha cercato disperatamente un abbraccio, una carezza, un bacio…e ha finalmente potuto realizzare quel sogno dentro il mio di abbraccio.
L’amore può veramente cambiare tutto, e qui in Congo ho visto come fa.
Grazie Africa…
Grazie alle persone così speciali che ho conosciuto e con cui ho condiviso questo viaggio.
Grazie ad Oikos Onlus, per avermi regalato un’impagabile opportunità di crescita e arricchimento interiore.
Grazie alla vita e a quel fuoco dentro me che mantiene vivi i miei sogni….
Grazie ai miei genitori, per volermi così bene nonostante la consapevolezza di avere una figlia tutta matta.
Grazie a Sofia e grazie a Dario, per l’energia con cui mi avete avvolta, travolta e stravolta.
Nicole