Nariño, settembre, il fronte guerrigliero Comuneros del Sur, Compañia Jaime Tono Obando, rompendo i principi militari di segreto e fattore sorpresa, annuncia alla popolazione nei distretti di Samaniego, Ricaurte, Providencia, La Llanada, Santa Cruz e Tumaco la proclamazione di un blocco armato di 96 ore, che inizierà il 14 settembre alle 13:00 e terminerà il 18 settembre alle 6, (Comunicato pubblicato dall’Esercito di Liberazione Nazionale – ELN).
Il 13 settembre, esce un secondo comunicato in cui l’ELN rinnega la paternità del precedente e accusa l’esercito di essere il vero artefice del blocco armato e di voler far ricadere la responsabilità sul gruppo di guerriglia.
Il 14 settembre, nel pomeriggio, un terzo comunicato dell’ELN annuncia che il blocco armato inizierà il giorno successivo e durerà 72 ore, a differenza di quanto annunciato precedentemente.
Il 15 settembre, a Samaniego, le persone non sono uscite, le strade erano deserte, le scuole chiuse, le saracinesche abbassate, il mercato vuoto, l’esercito disposto lungo la strada principale a vigilare la situazione.
In questi giorni, nella “schizofrenia” generale, termine che ritorna spesso nelle parole e nelle azioni delle persone per descrivere il comportamento made in Colombia, i cittadini hanno deciso di non uscire per non rischiare le minacce e le vendette per non aver rispettato il blocco imposto, ma con uno scopo ben preciso: intimidire la popolazione a due settimane dal voto del plebiscito.
Sono diverse, infatti, le fazioni che non condividono il processo di pace di La Avana, primo tra tutti l’ex presidente Alvaro Uribe, che da mesi invita la cittadinanza alla resistenza, i gruppi Paramilitari, che diligentemente resistono, l’ELN, che critica la strategia del Governo di non voler coinvolgere tutte le forze in un unico negoziato di pace, il narcotraffico, che non vede di buon occhio il punto 4 degli accordi relativo allo “sradicamento delle coltivazioni di uso illecito”. Poca anche la convinzione dei campesinos e della popolazione locale, soprattutto di coloro che nelle coltivazioni di coca ci sono immersi ogni giorno e che alle FARC hanno pagato fino all’altro ieri una tassa sulla produzione…l’incredulità generale di fronte a un accordo così “ingiusto” è tanto palpabile quanto sconcertante per chi è impegnato a fare pedagogia della pace nelle comunità rurali.
Tanti sono anche i dubbi riguardo al processo di pace e alla metodologia utilizzata, a partire dalla mancanza di coinvolgimento della società civile e dalla rapidità con cui è stata invitata a votare, errori di valutazione di cui il Governo Santos paga le conseguenze politiche e che gli oppositori, che adesso stappano le bottiglie ballando fino a notte fonda, hanno abilmente sfruttato con facili slogan. Infatti, il forte rammarico è per la politicizzazione del referendum, che è diventato uno strumento di campagna di una fazione politica e non l’espressione di un Paese a favore del processo di pace, cosa che si evidenzia anche dal forte astensionismo. Allo stesso tempo, non sono stati sufficienti i mesi a disposizione per poter informare i cittadini sui punti degli accordi, per distruggere i pregiudizi, smantellare i dubbi uno a uno e promuovere la coscienza politica. Questo uno dei fattori principali della sconfitta del SI, dato all’inzio per scontato, visto l’uso di quelle belle parole come PACE, PERDONO, RICONCILIAZIONE, VERITÀ, DIRITTI UMANI, che poco hanno potuto però contro le parole MINACCIA, IMPUNITÀ, VENDETTA, CORRUZIONE, INTERESSE. Il problema è che queste “non sono solo belle parole con cui riempirsi la bocca, sono una forma di essere, devono essere un’attitudine
personale e di vita, oltre a una responsabilità verso le generazioni future…immaginate i nostri figli un giorno quando ci guarderanno e penseranno che siamo stati qui a discutere se sia giusto o meno dire di SI alla pace, penseranno che siamo stati pazzi o stupidi a porci il problema”. Questo il discorso di Harold Montufar, vittima del conflitto, a Samaniego, uno dei Comuni maggiormente colpiti dal conflitto in cui il SI ha vinto con 7.072 voti a favore, insieme a molti altri come Barbacoas (Si 73% NO 26%), Tumaco (SI 71% No 28,8%), Apartado (SI 52% NO 47%), Caloto (SI 72,9% No 27%), Bojaya (SI 96% NO 4%), questo a testimonianza del fatto che, nonostante tutte le perplessità, lo sforzo di pace era possibile. Il 2 ottobre il 50,2% dei Colombiani ha detto NO, il 63%, non votando, ha lasciato che vincesse il NO, gettando il Paese in un caos politico che rischia di paralizzare gli sforzi intrapresi dalle diverse forze in campo. Che diranno i vostri figli adesso?