Poco tempo fa pensavo che proprio in questi giorni, sei anni fa, stavo per essere catapultata dall’altra parte del mondo e iniziare la mia esperienza di SVE in Cambogia per 6 mesi. Quando ripenso a quel periodo mi rendo conto di quanto importante ed emozionante è stato e di quanto, realmente, mi ha cambiato la vita. Per questo vi ripropongo un articolo che avevo scritto appena rientrata dalla Cambogia ed ero appena stata assunta da Oikos. Emozioni che sono ancora vive dopo tanto tempo e che spero di poter trasmettere anche ai ragazzi che stanno per iniziare questa avventura.
Se penso a dov’ero un anno fa a quest’ora, quasi stento a credere di aver fatto tanta strada e di essere arrivata fin qui. Non so quanto peso abbia la fortuna nelle vicende umane ma nella mia vita di sicuro gioca un ruolo importante. Mi raccontano che sono nata con la camicia, ma io credo che la fortuna a volte sia pigra e siamo noi a doverle andare incontro, con atteggiamento positivo perché è di natura positiva, perché come dice Seneca “La fortuna è ciò che accade quando la preparazione incontra un’opportunità”. Qualunque cosa tu vedi come “la storia della tua vita” diventa realtà, in prossimo futuro. Per questo è bene volare alto. Questa è la mia storia, di come ho cercato e trovato la mia opportunità, questo è quello che mi ha insegnato lo Sve.
Lasciate che mi presenti. Mi chiamo Chiara Torassa, sono piemontese d’origine ma vivo da sempre nella provincia di Udine. Dopo la maturità scientifica, le idee confusissime su che facoltà intraprendere, neanche uno straccio di piano per il futuro se non la sana convinzione di voler girare il mondo. La scelta di studiare Lingue non è stata casuale, conoscere le lingue significava poter conoscere anche le culture a cui appartenevano, significava avere accesso alle persone, alle loro storie. Ed è questo che mi è sempre importato più di tutto il resto, conoscere le storie, le diverse voci che fanno il mondo. La letteratura per me è questo, nasce da qui, nasce dalla diversità, dal conoscere se stessi e dal proiettarsi sul mondo. Ho adorato gli anni di studio veneziani, immersa in un quotidiano fatto di grandi gioie, di scoperte importanti, ma anche di piccole abitudini da ricordare per sempre. Canali e biblioteche segnavano il mio mondo, la mente percorreva strade d’inchiostro e l’animo vacillava ogni volta che sentivo un aereo passare. Anni sospesi in una dimensione magica ma che hanno acquisito un senso ancora più importante quando, dall’essere solo oggetto di studio, le lingue sono diventate la chiave per aprire delle storie, storie spesso dolorose di gente venuta da lontano, gente che masticava a fatica l’italiano e che necessitava solo di essere ascoltata. Il tirocinio universitario io ho scelto di farlo al Centro Servizi per Stranieri del Comune di Udine, dove ho avuto la fortuna di conoscere una persona per me fondamentale, da tanti anni alle prese con un servizio difficile, ma ancora animato da una passione contagiosa. La prima volta che sono entrata al centro, ancora non sapevo che da quel momento la mia vita non sarebbe mai più stata la stessa, ma sentivo di essere al posto giusto nel momento giusto. Avevo trovato la mia strada. Sono stati forse i giorni che ho passato lì a far maturare dentro di me l’idea di voler partire. Voglio dire, quella c’era sempre stata, ma da quel momento in poi è diventata un’esigenza, un’esperienza senza la quale non sarei riuscita a capire mai veramente la realtà che avevo intorno. Sono state le chiacchierate con Renzo davanti a un panino durante la pausa pranzo o discutendo dei progetti di cooperazione da lui sostenuti a farmi decidere. Sarei partita, non importa dove e quando ma sarei partita.
Nella vita però, le decisioni anche più importanti hanno bisogno del tempo e dell’occasione giusta per sbocciare, arrivano nel momento in cui si è pronti quindi è passato ancora del tempo prima che riuscissi a mettere in pratica i miei propositi. Nel frattempo avevo iniziato a lavorare per un’associazione di Udine che operava nel campo dell’immigrazione e dell’housing sociale. Un lavoretto di poche ore ma che mi metteva costantemente a contatto con nuove storie, nuove sfide, e grandi soddisfazioni. Un lavoro che mi ha preso molto a livello emotivo e che mi ha riempito di nuovi stimoli. Per natura sono curiosa e il tempo libero lo passavo a conoscere l’attività di varie associazioni, gruppi, nel volontariato, ovunque ci fosse fermento intellettuale e umano. Il movimento genera movimento e alla fine così è stato.
Nell’estate 2010, dopo essermi laureata, dopo aver concluso il tirocinio per insegnare l’italiano agli stranieri, l’ho sentito. Un cambio nella direzione del vento, vorrei dire. Era arrivato il momento di partire. Ho lasciato tutto, il lavoro, gli amici, gli affetti e mi sono messa alla ricerca. Avrò mandato centinaia di curricula, scartabellando qualsiasi sito di mobilità giovanile, qualsiasi programma per passare un periodo all’estero. Avevo in mente l’Africa perché, non so come mai, ma l’ho sempre avuta nel cuore ma non avevo preferenze. Partivo per conoscere, qualsiasi cosa, prima di tutto me stessa. Parecchie risposte negative, molte non risposte, l’umore in caduta libera ma la consapevolezza che prima o poi era nel mio destino e che valeva la pena fare ancora un tentativo. Finchè, tra le tante email di risposta, la convocazione al colloquio di selezione per un periodo di Sve in Cambogia presso Eurocultura di Vicenza. “Sì, vabbè, Eurocultura, il mostro sacro della mobilità giovanile, figurati se prendono me!”. Mi sono presentata al colloquio senza aver la minima idea di cosa aspettarmi, decisa a dimostrare solo la mia strenua volontà di partire. A farla breve, tre mesi dopo ero su un aereo con destinazione Phnom Penh, nel regno di Cambogia, gioia e dolore del Sud-Est asiatico. Assieme ad altri undici europei abbiamo intrapreso questa avventura straordinaria, siamo cresciuti, ci siamo conosciuti, siamo saltati tutti insieme nel vuoto e siamo atterrati in una realtà che ci ha stravolto la vita, il modo di pensare, il modo di essere. Nessuno di noi aveva ben chiaro cosa avremmo fatto in Cambogia durante il periodo dello Sve, ma ognuno di noi ha trovato una sua dimensione. Ovviamente i problemi ci sono stati, associazioni partner che non rispettavano i progetti, volontari lasciati allo sbaraglio, ma alla fine tutti, con grande impegno, siamo riusciti a dare un senso al nostro stare là, abbiamo lavorato per lasciare qualcosa e portarci a casa non solo il valore personale dell’esperienza, ma qualcosa di più, anche solo un dettaglio minimo, ma qualcosa di nostro. Ancora una volta sono stata molto fortunata. Lavoravo nell’associazione partner del progetto, BBJShare Cambogia, con il collega migliore che potessi trovare con cui ho passato sei mesi splendidi, da cui ho imparato molto ed è stato in particolare grazie a lui se dalla Cambogia sono tornata con un bagaglio di esperienze anche professionali. Mi ha insegnato molto, sopportando le mie mille domande, risolvendo i miei drammi anche quando era nel pieno del lavoro, dimostrandomi quanto lavorare in team sia non sempre scontato ma certamente il migliore. Il nostro lavoro a BBJShare era vario e variegato, abbiamo creato il sito internet del progetto, abbiamo seguito i progetti delle altre ONG per realizzare filmati e reportage, abbiamo organizzato i workshop culturali. Insomma tutte cose assolutamente nuove per me, lontane dai miei libri di letteratura inglese, ma che mi hanno appassionato fin dal primo istante. Contemporaneamente ho potuto condurre una ricerca personale sulla situazione delle ragazze e i matrimoni organizzati in Cambogia, ho ascoltato tante storie e ho imparato a sospendere il giudizio, a non imporre alle cose la mia forma mentis europea, ma a considerare le cose da molti e sfaccettati punti di vista.
Sei mesi passano in fretta, e presto ci siamo trovati tutti a fare i conti con il fatto che di lì a poco saremmo stati di nuovo in Italia, con la scarsità di lavoro, con la voglia di ripartire, con la necessità di dare una direzione alla propria vita. Per quanto mi riguarda, io tornavo con la consapevolezza di voler lavorare nel settore della cooperazione, un’idea vaga, è vero, ma quella che sentivo più affine al mio modo di essere, storie da ascoltare e un costante impegno verso il mondo. Purtroppo però questa mia profonda passione era accompagnata dal sentimento disilluso di sapere quanto fosse difficile anche solo sperarlo.
Invece la mia buona stella mi deve aver ascoltato, mentre lanciavo preghiere disconnesse al fiume Mekong, nella speranza che da qualche parte alla fine arrivassero. Appena tornata in Italia, una mia amica mi dice che una piccola ONG di Udine cercava un cooperante da mandare in Brasile per seguire un progetto sul commercio di frutta. Al solo pensiero di me, laureata in Letteratura Postcoloniale, addetta al commercio della frutta mi veniva da ridere, ma il curriculum l’ho mandato lo stesso. Sapete, dopo le mille avventure e le sfide, dopo essermi immersa in un Paese all’altro capo del mondo senza paura perché in ogni caso niente è così grave come potrebbe sembrare, sento davvero di avere una marcia in più. Chiamatela come volete autostima, consapevolezza, incoscienza, ciò che importa è sentire di avere delle solide basi sui cui costruire la propria vita e la base fondamentale è costituita da noi stessi e dal nostro rapporto con gli altri. Per questo il colloquio è andato bene. Perché ci credevo. Credevo nel lavoro che mi proponevano e credevo in me stessa. L’incontro con Oikos è stato da subito amore a prima vista, non ho sentito le campanelle suonare, ma ho sentito che condividevo con queste persone una missione, un modo di vedere il mondo, di determinare le proprie scelte. Ovviamente sono consapevole del fatto che al momento sono poche le ONG disposte ad assumere, e questo fa onore a Oikos perché in questo mare magnum della solidarietà, trovare chi è disposto a riconoscere e dare dignità al lavoro di chi si impegna a fare cooperazione, non è scontato. Per cui adesso vi scrivo da un paesino minuscolo immerso nel cuore caldo del Brasile per seguire questo progetto che porterà alla realizzazione di un laboratorio di succhi e polpe di frutta che darà lavoro ai giovani della zona.
Questo è stato per me lo SVE, l’inizio di una vita vivace e policromatica, segnata dalla consapevolezza dell’importanza dell’azione e soprattutto, del credere. In noi stessi prima di tutto. La vita che sognavo.