Continuano le proteste
1 agosto 2024
La situazione del Bangladesh rimane tesa e preoccupante. Le proteste erano cominciate per chiedere la rimozione del sistema delle quote di accesso ai lavori della pubblica amministrazione, dopo che l’ Alta Corte del Bangladesh ha stabilito che 1/3 dei lavori nel settore pubblico dovessero essere riservati ai figli e ai familiari di coloro che hanno combattuto per l’indipendenza del Bangladesh. Quello che all’inizio era un movimento pacifico si è trasformato in un bagno di sangue, che ha colpito giovani studenti, forze dell’ordine e popolazione civile. I gruppi studenteschi e molti gruppi umanitari indicano come fattore centrale per l’escalation la violenta aggressione dei manifestanti da parte di individui affiliati all’Awami League, il partito di maggioranza in Bangladesh dal 1996.
Il punto di vista governativo
Il governo, attraverso il ministro dell’ Informazione Mohammed Arafat, sostiene che tra i manifestanti fossero presenti infiltrati jihadisti, terroristi, anarchici, e parte degli 800 prigionieri evasi dalle carceri, e che l’opposizione abbia alimentato il caos. Questo, secondo lui, giustificherebbe la morte di centinaia di persone, considerata un effetto collaterale della necessità di riportare l’ordine e la pace.
In precedenza, il governo guidato da Sheikh Hasina – figlia di Sheikh Mujibur Rahman, fondatore dell’Awami League – aveva già modificato il sistema delle quote per favorire l’accesso ai lavori pubblici sulla base del merito dei candidati. Tuttavia, la decisione del governo è stata ribaltata dall’Alta Corte, a seguito delle rimostranze di un gruppo di cittadini che avrebbero beneficiato della reintroduzione del sistema delle quote.
Arafat ha dichiarato che il governo era d’accordo con le richieste dei manifestanti di rimuovere le quote, ribadendo che era stato proprio il governo ad eliminarle in precedenza, ma che la loro decisione era stata annullata dall’Alta Corte. Secondo lui, ciò implicava che non avesse senso protestare nelle strade e che si sarebbe dovuto procedere per altre vie.
Domenica 21 luglio è stato reso noto che l’Alta Corte ha ridotto significativamente le quote riservate agli ex-combattenti della guerra d’indipendenza, passando dal 30% al 5%, e che, unite al 2% riservato ai membri delle minoranze etniche e alle persone con gravi disabilità, lasciano il 93% dei posti di lavoro assegnato su base meritocratica.
Eppure le proteste continuano.
I leader del movimento studentesco si sono detti d’accordo con la decisione dell’Alta Corte, ma ormai la questione delle quote non è più l’unica richiesta del gruppo.
Nelle ultime settimane ci sono stati oltre 2.000 arresti, soprattutto di studenti e membri dei partiti di opposizione. Molte persone riportano di essere state sequestrate, torturate e poi rilasciate. Nelle strade vige il coprifuoco, i soldati hanno avuto l’ordine di sparare a vista, e la rete internet è stata soppressa per settimane. Quando è stata ristabilita, l’accesso ai social media è stato inizialmente bloccato, uno degli strumenti con cui i manifestanti hanno condiviso con il mondo la violenta repressione delle proteste. Il governo ha giustificato questa decisione dicendo che voleva evitare il diffondersi di fake news che avrebbero potuto ulteriormente peggiorare le tensioni.
Lunedì scorso uno dei leader del movimento studentesco ha espresso l’urgenza di riportare la sicurezza nei campus, dove gli studenti temono gravi ripercussioni per loro e per le loro famiglie a causa della partecipazione alle manifestazioni. I leader riportano di essere pedinati dai servizi segreti, rapiti e arrestati. Uno studente, che afferma di non essere affiliato a nessun partito politico, ha raccontato che la polizia ha fatto irruzione in casa sua per chiedere notizie sulle sue posizioni politiche e sulla sua ubicazione. Il padre del ragazzo ha risposto che non lo sapeva e che il figlio fosse un semplice studente; la polizia ha replicato che ci sarebbero state gravi conseguenze per chi protesta contro il governo. (The Take: Al Jazeera)
“Ormai non è più una questione di quote,” dice una giovane studentessa alle videocamere di Al Jazeera, “il governo deve assumersi la responsabilità di ogni individuo morto, e del perché e del modo in cui sono morti”.
Le richieste:
Tra le altre richieste, oltre alla rimozione del coprifuoco e del blocco dei social media, i manifestanti chiedono:
-una lettera di scuse pubbliche da parte della prima ministra,
-le dimissioni di alcuni ministri,
-l’arresto dei poliziotti colpevoli,
-che le famiglie di tutte le vittime ricevano un risarcimento,
-che non ci siano ripercussioni accademiche e amministrative per chi ha preso parte -pacificamente alle proteste.
Il numero delle vittime non è chiaro. Il governo ne ha riportati 147, ma alcune fonti sostengono che il numero sia molto più alto, che molti dei corpi dei caduti per mano della polizia siano stati fatti sparire e che molti decessi siano stati classificati come causati da altre ragioni. Il gruppo degli studenti sostiene che la cifra si aggiri intorno ai 266 caduti.
I civili
Anche i civili, in queste settimane, hanno pagato un prezzo altissimo. Oltre ai danni alle infrastrutture coinvolte, e alle difficoltà nel sostenersi attraverso il lavoro, la loro vita è stata ugualmente messa in pericolo e cambiata per sempre.
Al Jazeera riporta la storia di Anik, un commerciante di 24 anni non affiliato né agli studenti, né ai manifestanti dei partiti politici, che mentre tornava dal lavoro si è trovato coinvolto in uno scontro e ha ricevuto dei colpi di pistola a pallini, in dotazione all’esercito per disperdere i manifestanti, negli occhi. Sono stati tanti coloro che hanno subito questo tipo di ferita agli occhi, il che ha portato a pensare ci fosse l’intento di provocare questo tipo di danno a lungo termine. Secondo i medici del National Institute of Ophthalmology and Hospital (NIOH), c’è il 50% di probabilità che perderà la vista. Non è l’unico. Il giovane Mohammad, un bambino di soli 10 anni che lavorava in un’officina di motociclette, ha perso definitivamente la vista perché colpito agli occhi.
Molte associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani (Human Rights Watch, Amnesty International…) hanno accusato le forze di sicurezza di aver utilizzato gas lacrimogeni, granate stordenti, proiettili di gomma e pallini da fucile per disperdere i dimostranti. Una giovane donna ha raccontato ad Al Jazeera che erano circondati dai cecchini che sparavano sulla folla, e che ci fossero anche elicotteri che volavano molto bassi sui manifestanti sparando.
La situazione sembra stabile al momento, ma alcuni attivisti riportano che i manifestanti si stanno riorganizzando per rilanciare le proteste nelle prossime settimane. Ieri, mercoledì 31 luglio, il gruppo “Studenti Contro la Discriminazione” ha organizzato la Marcia per la Giustizia.
Fonti:
In Bangladesh, protests are no longer about the quota system
The Take: Why Bangladeshi students say protests aren’t over
28.Bangladesh restores mobile internet after 11-day blackout to quell protests
22.07 Bangladesh: le forze di sicurezza prendono di mira gli studenti disarmati, Human Right Watch
Bangladesh authorities detain student protest leaders in hospital
21.07 – Bangladesh top court scraps most quotas that caused deadly unrest
Bangladesh: End punitive mass arrests and arbitrary detention of student leaders and protesters, Amnesty International
Fresh violence in Bangladesh student protests
Proteste in Bangladesh: cosa sta succedendo?
23 luglio 2024
Il Bangladesh sta affrontando una violenta repressione delle manifestazioni civili iniziate all’inizio di luglio, scatenate dal dissenso sul sistema delle quote per l’accesso ai lavori nel settore pubblico.
A giugno, l’Alta Corte del Bangladesh ha stabilito che un terzo dei lavori nel settore pubblico dovesse essere riservato ai figli di coloro che hanno combattuto per l’indipendenza del paese. Molti sostengono che questa decisione favorisca i sostenitori del governo di Sheik Hasina, il cui padre Sheikh Mujibur Rahman fondò la Lega Awami, il partito che governa il Bangladesh dal 1996.
Il sistema delle quote di accesso alla pubblica amministrazione assegna il 44% dei posti in base al merito. Il restante 56% è suddiviso in quote: 30% ai figli dei freedom fighters, 10% alle donne, 10% agli abitanti delle aree più arretrate, 5% alle minoranze etniche e 1% a chi soffre di gravi disabilità fisiche.
I manifestanti chiedono l’abolizione delle quote che riservano il 30% dei posti pubblici ai figli degli ex-combattenti. Già nel 2018, gli studenti erano scesi in strada per protestare contro questa quota. Allora, il capo del governo Hasina aveva deciso di accogliere le proteste ed eliminarla. Tuttavia, una sentenza dell’Alta Corte ha ribaltato la decisione del primo ministro, reintroducendo le quote.
Disoccupazione, monopartitismo e crisi economica
Come in tanti altri casi, questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, facendo esplodere il dissenso e il malcontento nei confronti del governo di Hasina, accusato di essere sempre più violento contro gli oppositori politici e orientato al monopartitismo. Inoltre, il paese è alle prese con un altissimo tasso di disoccupazione giovanile e una grave crisi economica.
Le proteste, inizialmente pacifiche, hanno visto contrapporsi la popolazione studentesca e civile da una parte, e i sostenitori del governo e le forze dell’ordine dall’altra. Le violenze da parte della polizia hanno causato, in poche settimane, la morte di circa 150 manifestanti, 2 sostenitori del governo e 2 poliziotti. Numerosi leader dell’opposizione sono stati arrestati, così come moltissimi giovani attivisti e studenti.
Dopo le proteste, la Corte Suprema ha stabilito che il 93% dei posti dovrà essere assegnato in base al merito. La decisione deve ancora essere ufficializzata.
Oikos esprime profonda e sincera solidarietà a tutti i bengalesi, in particolare ai nostri beneficiari. Da lontano ricevono notizie, immagini e video raccapriccianti delle violenze commesse sui propri connazionali. Uno di loro ci ha raccontato delle proteste e, con grande tristezza, ha detto: “Com’è possibile che il governo spari sul suo futuro? Oggi forse 100 persone su 10.000 riescono ad andare all’università, se spari su quei 100, chi rimane?”
Fonti:
Internazionale
In Bangladesh la polizia spara sugli studenti; Più di cinquecento arresti nella capitale del Bangladesh; Sale a 22 il bilancio dei morti nelle proteste degli studenti in Bangladesh
Al Jazeera
How peaceful Bangladesh quota protests morphed into nationwide unrest
Bangladesh calm after top court scraps job quotas
Foto: Wikicommons