Per alcuni volontari è stata la prima volta in Africa, abbiamo chiesto loro, al rientro, di scrivere le loro sensazioni, emozioni, guardando all’esperienza anche in modo critico.
Marta Miani, recentemente rientrata dalla Repubblica Democratica del Congo, apre questa serie di racconti africani. Buona lettura!
“Primissima esperienza in Africa e primissima esperienza in un contesto difficile come quello della pediatria. Il mese che i miei compagni di avventura ed io abbiamo passato nel cuore dell’Africa, è stato intenso e ricco di forti emozioni che personalmente, non avevo mai provato in vita mia.
Una pediatria di quasi 500 bambini di tutte le età, la maggior parte di loro sono orfani, malati e portatori di handicap ma tutti quanti hanno una sola cosa in comune: un sorriso enorme stampato sul viso che toglie il fiato e scalda il cuore.
Difficile sarà dimenticare le giornate passate con loro. Purtroppo la realtà della pediatria non è facile…non basta un solo educatore per ogni casa per soddisfare tutte le loro piccole richieste perché hanno bisogno di molte attenzioni, carezze, abbracci, momenti di gioco e i più grandi, per esempio hanno bisogno di parlare e confrontarsi con qualcuno sulle loro ambizioni, sui loro sogni o ciò che amano di più fare.
I primi giorni, se devo essere sincera, mi sono sentita un po’ male, psicologicamente parlando ovviamente. Vedere tutti questi bambini che trasformano banalissimi oggetti, come per esempio un fazzoletto di carta, in un giocattolo e quindi si divertono da morire, fa riflettere molto. Credo che non si possano paragonare ai bambini che abbiamo qui. Sono su due mondi completamente diversi. Sono bambini speciali…Se avessi avuto l’opportunità me li sarei portata a casa tutti quanti!
Passavamo le nostre giornate a giocare con i bambini delle varie case. Alla Neo per esempio era un delirio! Ogni volta che varcavamo la soglia della casa, una miriade di bambini piccolissimi, per darci il benvenuto, si aggrappavano su di noi ovunque come delle piccole scimmiette! Penso di non aver mai ricevuto così tanti abbracci tutti insieme in vita mia, abbracci che sia per loro che per me, significavano tanto. Ogni giorno era un dare e ricevere mille emozioni.
Vedere dei bambini così piccoli divertirsi con poco e niente è una sensazione bellissima. Quando passavo il tempo a giocare con loro, mi sorgeva spontaneo fare un paragone con i bambini del centro estivo del mio paese che frequento ogni estate come animatrice. Tantissime volte al centro estivo mi era capitato di demoralizzarmi perché non riuscivo a tenere testa ai bambini o semplicemente a farli sorridere, molti di loro per esempio facevano un sacco di capricci…si lamentavano per qualsiasi cosa oppure tenevano il muso per ore. In quelle occasioni mi sono sentita un’animatrice fallita.
I bambini della pediatria invece, mi hanno stimolata moltissimo e mi hanno dato un sacco di soddisfazioni perché sono riuscita a credere in me stessa e in quello che stavo facendo per loro. Ho imparato a mettermi in gioco e a non gettare la spugna immediatamente, mi sono sentita apprezzata per quello che facevo per loro. Ogni singolo minuto che ho passato insieme a loro, non me lo scorderò mai.
Uno dei tanti momenti speciali che ho vissuto alla Neo è stato sicuramente tenere in braccio un neonato di pochissimi mesi e dargli il biberon. È stato un momento magico e rilassante allo stesso tempo. Non avevo mai tenuto in braccio un bimbo così piccolo e tanto meno non avevo mai dato un biberon.
La comunicazione con i bimbi inizialmente non è stata facile. Molti di loro sapevano pochissime parole in francese e quindi giorno dopo giorno abbiamo dovuto imparare qualche parola in lingala, seconda lingua ufficiale in RDC. Ognuno di noi, armato di carta e penna, si è costruito un mini vocabolario di lingala dove segnavamo tutte le parole apprese nell’arco della giornata. Purtroppo le mamans delle case sono abituate a dialogare con i bambini esclusivamente in lingala e di conseguenza i bambini più piccoli imparano a parlare solo in lingala.
L’ igiene nella Neo purtroppo manca. Il personale c’è ma è come se non ci fosse a volte. Qualche volta mentre tenevo in braccio un bimbo con il pannolino è capitato che si facesse pipì addosso e di conseguenza bagnava anche me. Subito dopo andavo dalle maman per chiedere di cambiare il bambino e ogni volta la loro risposta è stata: “Il bambino verrà cambiato più tardi insieme a tutti gli altri, anche se rimane bagnato si asciugherà fra poco”. Ogni volta che sentivo quella frase mi venivano i nervi!
Tra le altre cose i pannolini non sono dei banali pannolini usa e getta della Pampers che comunemente si trovano al supermercato ma sono un’opera d’ingegneria ad alto livello: sacchi di plastica dell’immondizia ritagliati a forma di pannolino che dopo l’uso vengono lavati con acqua e sapone e messi ad asciugare al sole. Trovo assurdo che in un contesto come quello della pediatria, ci sia una mancanza d’igiene come questa.
Purtroppo i pannolini costano e la pediatria non penso se lo possa permettere in quanto mancano fondi per comprare certe cose. Ogni giorno arrivano moltissime donazioni le quali consistono principalmente in vestiti, vestiti e ancora vestiti! Un giorno abbiamo visitato il magazzino dove vengono depositate tutte le donazioni. Penso di non aver mai visto una stanza piena di scatoloni tutta in disordine come quella. Nelle scatole oltre ai vestiti, c’era un sacco di cibo scaduto, scarpe, giochi, occhiali da sole, bambole e tanto altro…vi starete chiedendo, dove cavolo è il responsabile del magazzino? C’è ma è come se non ci fosse. La formazione manca. Bisogna assolutamente organizzare dei corsi di formazione per il personale, almeno per insegnare come si fa un banale inventario delle donazioni che arrivano!
E per tutte le persone che stanno leggendo questo mio “diario di viaggio” chiedo gentilmente di non spedire più vestiti perché credetemi, ce ne sono troppi!! Piuttosto spedite donazioni in soldi per finanziare quello che serve realmente ovvero pannolini per la Neo, corsi di formazione per il personale e macchinari sanitari per i reparti dell’ospedale. (Chiudo qui la mia apostrofe critica sulla pediatria)
Altra casa da noi molto frequentata è stato il “Foyer”. Qui le attività con i bimbi delle elementari per intenderci sono state varie e molto divertenti: colori, disegni, puzzle, lettura di qualche libricino in francese,balli, canto, calcio, palla prigioniera, giro tondo e tante altre. I bimbi adoravano colorare, era la loro attività preferita. Ogni giorno ci chiedevano se potevano colorare o disegnare. Armati di molta pazienza, consegnavamo un foglio ciascuno e un pennarello in modo tale da non disperdere in giro tutti gli altri colori. C’era il delirio ogni qualvolta aprivamo i nostri zainetti con dentro i fogli e i colori. Non ho mai visto dei bambini, azzuffarsi per dei fogli e colori.
Questo vivere semplice e povero ma allo stesso tempo gioioso, è impossibile trovarlo nella nostra quotidianità e tanto meno capirlo se non lo si vede con i propri occhi. Passare le giornate con loro era veramente faticoso, a fine giornata eravamo distrutti ma alla stesso tempo felici. Il tempo sembrava scorrere troppo velocemente laggiù…l’ultima settimana è arrivata troppo in fretta.
Maman Betty: casa delle ragazze dai 13 ai 19 anni. Il primo giorno ci siamo riuniti tutti quanti insieme alle ragazze nel portico della casa per presentarci e discutere su quello che avremmo fatto insieme durante il mese. Tutti noi abbiamo notato che le ragazze facevano veramente fatica a parlare. Si limitavano semplicemente a dire il loro nome e quanti anni avevano, nel mentre alcune di loro si beffavano di loro ridendo a squarciagola e mettendo in imbarazzo la ragazza che stava parlando. Non sono abituate a parlare di quello che amano fare o dei loro sogni perché forse nessuno glielo chiede. Per rompere un po’ il ghiaccio, ognuno di noi si è presentato dicendo quello che più ci rappresentava. Nicole la musica e il canto, Gaia la danza, Daniele la musica, Andrea lo sport e infine io e Anna le lingue.
Ad un certo punto, una ragazzina timidamente, chiese a Gaia se poteva ballare per loro e farle vedere qualche passo di danza. In pochi minuti ci siamo ritrovati a ballare per un’ora e mezza di fila con tutte le ragazze. Forse è stato il miglior modo per rompere il ghiaccio e tutti i pregiudizi che si erano creati nell’aria di quella stanza.
È stato un momento stupendo. Insieme a loro avevamo organizzato delle lezioni di francese e inglese di qualche ora durante la settimana, purtroppo non sono andate secondo le nostre aspettative. L’attenzione delle ragazze aveva una durata di più o meno 10 minuti e solamente poche erano veramente interessate a imparare l’inglese. In RDC quasi nessuno lo parla, solamente Exaucer, ragazzo di 18 anni, ha avuto la buona volontà di impararlo da autodidatta. Divertenti sono stati i pomeriggi passati a fare braccialetti insieme alle ragazze e a Francesco, volontario fisso nella pediatria.
La terza settimana abbiamo avuto l’opportunità di passare 5 giorni a Kinta, un villaggio sperduto in mezzo alla savana. Realtà totalmente diversa dalla pediatria. Se nella pediatria mancavano un sacco di comfort, il villaggio era mille volte peggio. Vedere una comunità che vive principalmente di manioca e carbone, senza elettricità, con la prima fonte di acqua a 15 minuti dalle case è come se in quel piccolo appezzamento di terra il tempo si sia fermato per chissà quanti anni. Significativa è stata la conoscenza di maman Marie. L’unica donna alfabetizzata di tutto il villaggio e infermiera. Quando parlava, avevo letteralmente i brividi. La sua giornata tipo era principalmente badare ai figli, cucinare, andare a prendere l’acqua e lavorare la manioca. Donna di grande riservatezza ma dall’animo forte e puro. In quei giorni abbiamo visto con i nostri occhi come veniva lavorata la manioca e tutti i prodotti tipici ricavati da essa: la Chikuanga, Huntu, il Fou Fou e il Pundu prelibatezze prettamente congolesi, davvero ottime devo dire.
Indimenticabili le serate passate a Kinta. Il sole calava più o meno verso le 18. Non avevo mai visto dei tramonti così belli dai colori così intensi. Quando calava il buio pesto, il cielo brillava di stelle. C’erano miliardi di stelle sopra di noi, sembrava di vedere la via lattea. Tutto questo era impossibile da vedere a Kinshasa per via dell’alto tasso d’inquinamento che c’è in città.
Gli ultimi giorni sono stati per me terribili…non volevo tornare a casa…se avessi avuto l’opportunità sarei rimasta un altro mese insieme alle mie piccole scimmiette. Il giorno della partenza penso di aver pianto dalle 6 del mattino, momento della messa dove i bambini insieme a padre Hugo e Victor ci hanno salutati e ringraziati per quello che avevamo fatto, fino alle 20.50 ora del decollo del nostro aereo dall’aereoporto di Kinshasa. Quello che mi hanno lasciato quei bambini è tanto. Non dimenticherò mai i loro nomi, i loro sguardi, i loro sorrisi e soprattutto i loro abbracci. Vederci andare via è stato uno strazio anche per loro purtroppo.
Ho ancora impressa l’immagine dell’ultimo saluto. Caricati i bagagli nell’ambulanza, diamo gli ultimi abbracci ai bimbi, iniziamo a salire e insieme a noi volevano salire anche loro. Chiudiamo le porte, l’ambulanza parte…i bimbi iniziano a correre e inseguono l’ambulanza per un lungo tratto, sbracciandosi per darci l’ultimo saluto e in tutto questo noi urlavamo “Mbayo” (arrivederci in lingala) a squarciagola con gli occhi gonfi di lacrime…così abbiamo lasciato la pediatria di Kimbondo, piccola isola felice dispersa tra le colline della grande Kinshasa. Non ringrazierò mai abbastanza OIKOS e il mio caro comune di Pradamano per l’opportunità che mi hanno regalato…il mio piccolo sogno nel cassetto si è realizzato grazie a tutti voi…GRAZIE!