È già da un mese che sono tornata da questa incredibile missione in Congo vissuta nella pediatria di Kimbondo e i ricordi sono ancora vivi nella memoria. Tutto quello che noi vediamo in televisione o ci viene raccontato non è per nulla paragonabile alla realtà che ho vissuto: posso riassumere dicendo che mancano i beni essenziali per la quotidianità come l’acqua corrente, la luce, il cibo e i servizi igienici; però, nonostante questo, l’atmosfera che si respirava era serena e gioiosa, tanto che io e i miei compagni di viaggio l’avevamo definita l’Isola felice. Pensavo di non impegnarmi abbastanza per questi bambini e invece mi accorgevo che qualsiasi dimostrazione di affetto (un gioco, una passeggiata, una carezza, un abbraccio, una parola di conforto) li rendeva immensamente felici, perché alle spalle avevano solamente storie di abbandono e sofferenza.
Nella nostra realtà frenetica diamo molto valore alle cose materiali e superflue. Se laggiù si muore di fame, qui si muore di famA: se lì si lotta per sopravvivere, qui si lotta per apparire. Lì non hanno niente, eppure sono contenti lo stesso; qui abbiamo tutto, ma si vorrebbe sempre di più.
Sono partita per il Congo piena di buoni propositi, con l’intenzione di aiutare, essere utile e dare una mano materialmente a questi bimbi; sono ritornata, invece, con la consapevolezza che in realtà sono loro che mi hanno aiutato a capire quali sono i veri valori della vita: la salute e gli affetti.
Concludo con un’ultima riflessione: quando mi additavano per strada e mi chiamavano mundele (“bianco”) deridendomi, mi rendevo conto del disagio che possono provare loro nel nostro Paese.
Ringrazio il gruppo “Missionario”, il gruppo “Oratorio” e il gruppo “Giovani” della Parrocchia di Fagagna e per l’opportunità che mi è stata data di fare questa esperienza nel paese africano.