Intervento OIKOS Onlus durante la Marcia per la Pace, 25 febbraio 2023
Insieme a Ofelia Libralato, coordinatrice dei nostri 72 posti in accoglienza, vorrei condividere alcune riflessioni, come rappresentanti di un’associazione, OIKOS Onlus, che accoglie anche i profughi ucraini, prevalentemente donne, anziani e bambini sul nostro territorio.
Ci siamo chieste cosa significhi ritrovarsi da un giorno all’altro senza nulla ed essere costretti a fuggire dalla propria casa, dal proprio paese, dai propri affetti, cosa significhi dover scegliere cosa portare con sé e partire, per salvarsi, con o senza i propri cari…Per quanto si possa provare empatia immaginando o addirittura ascoltando in prima persona i racconti di guerra, riuscire ad immedesimarsi pienamente con chi scappa dal proprio paese poiché coinvolto in un conflitto armato, è complesso e forse semplicemente impossibile.
Accogliere dei profughi di guerra presuppone innanzitutto una presa di coscienza intima di ciò che stanno vivendo loro e loro con noi negli spazi che gli offriamo e quindi, a prescindere dalla macchinosa regolarizzazione legale e dalla soddisfazione dei bisogni primari, che è il nostro compito professionale, significa mettersi nelle condizioni umane, di relazione che ci diano la possibilità di accogliere l’altro creando le condizioni della sua autonomia e della nostra giusta distanza per poterli aiutare a trovare serenità e costruire progettazioni individuali adeguate.
L’empatia nata anche tra i friulani che abitano nei territori in cui sono ospiti e che abbiamo incontrato nel lavoro di accoglienza e integrazione, deriva senz’altro dal fatto che, a differenza di molti altri profughi che accogliamo, gli ucraini ci assomigliano di più e che l’Ucraina si trova in Europa, ma deriva anche dal fatto che dalla guerra in Ucraina sono fuggiti prevalentemente donne e bambini. Uno scenario che ricorda, soprattutto ai nostri anziani, quello vissuto anche nei nostri paesi e città, per esempio con la rotta di Caporetto che vide fuggire intere popolazioni composte prevalentemente da vecchi, donne e bambini, a causa dell’invasione austro-tedesca.
È passato un secolo, eppure in questo stesso momento la guerra è il vissuto quotidiano di molti ucraini, costretti a sopravvivere al bombardamento delle proprie case o a fuggire per rifugiarsi altrove, con o senza le proprie famiglie, in contesti a volte alienanti e più spesso estranei. Se da cittadini ci si può vagamente immedesimare, da addetti ai lavori si vive un’esperienza totalizzante. La vita nei centri di accoglienza mette in contatto la realtà stravolta dei profughi con quella degli operatori, che condividendo l’accoglienza dall’interno vengono colpiti e coinvolti. Ciò che generalmente si osserva è l’instabilità emotiva di molti, che seppur rassicurati di essere accolti in un paese apparentemente sicuro vacillano tra il desiderio di restare e quello che li tormenta per tornare. Ciò li porta ad isolarsi, rifiutando la lingua e chiudendosi in sé stessi, nella speranza che l’attesa sia breve e il soggiorno solo temporaneo. Alcuni vivono il rimorso di aver abbandonato i propri cari e la propria terra: madri anziane indisposte o inabili ad andarsene, mariti e figli al fronte, case, animali e luoghi d’affezione. Altri ancora, arrivati da profughi di guerra, si travestono da migranti economici, nell’intento di guardare propositivi alla malcapitata sorte.
Tra i giovani c’è chi impara l’italiano, chi si impegna a terminare gli studi o a cercare lavoro, nell’ottica di un futuro colmo di novità ed occasioni. Tra i più anziani si osservano a tratti nostalgia e smarrimento, mentre per chi invece possiede già una rete di conoscenze nel territorio sembra che l’adattamento e l’integrazione siano meno sofferti. Sono invece i più piccoli, i più vulnerabili, a subire passivamente le sorti della guerra. Spesso infatti bambini e adolescenti si trovano ad affrontare l’animo e le speranze combattute dei genitori che hanno come sfondo la prospettiva del ritorno, dovendosi tuttavia calare forzatamente in una nuova vita che impone loro di adeguarsi al più presto alla quotidianità, alla lingua e alla scuola.
“Situazioni come questa ti cambiano completamente la vita. Quando perdi la casa, gli amici più cari, ti sembra di aver perso tutto. La difficoltà risiede anche nel fatto di dover iniziare tutto da zero.” Queste sono le parole di Ihor, un ragazzo ucraino arrivato in Italia nell’aprile 2022, proveniente dalla città di Seversk, nella regione ucraina del Donetsk. Ihor è giovane, esile e slanciato, con lo sguardo innocente di un diciassettenne lievemente disorientato. Ha gli occhi dolci dell’azzurro del cielo e un ciuffo di riccioli biondi che sbuca dal cappuccio. Come per molti suoi connazionali, per Ihor questa guerra spaventosa non ha alcun senso. Oggi vive la sua nuova vita ospite temporaneamente in un centro di accoglienza insieme alla madre e al fratello maggiore. Parla russo e non si capacita della ferocia con cui possono combattersi due popoli fratelli. Continua a mantenere contatti quotidiani con l’Ucraina, con i suoi amici e quando la connessione lo consente con la scuola. Nel frattempo, nonostante le ansie e le inquietudini di questo tremendo scenario, che subisce come molti altri coetanei nella medesima situazione, ha negli occhi una luce di speranza e dei buoni propositi per il futuro. Crediamo che tanti, troppi Ihor siano morti per una guerra che deve essere fermata, che tanti troppi Ihor non vedano futuro e speranza e che questa corsa agli armamenti non sia la strada maestra. Non ci sono dubbi da che parte stare in una vicenda che fa di Putin un dittatore e dell’Ucraina una vittima dell’invasione territoriale, ma crediamo che se c’è una parte in cui stare è quella delle vittime di qua e di là del fronte e che la colpa di questa situazione sia anche di molti politici occidentali che per lunghi anni hanno visto in Putin un “elemento di stabilità”. La colpa di questa guerra è anche nostra, occidentale: siamo stati compiacenti a Grozny in Cecenia e ad Aleppo in Siria e ora ne paghiamo le conseguenze, ma non è inseguendo la corsa agli armamenti che argineremo Putin nella sua follia imperialista.
La creazione dei Corpi civili di pace, istituzionali e professionali, sotto egida Onu e UE, sostitutivi delle forze armate nella prevenzione dei conflitti, è di là da venire. Sono passati più di trent’anni da quando si è cominciato a parlare di questa necessità vitale per anticipare l’esplosione dei conflitti armati nel cuore d’Europa. Ancora non si è fatto niente sul piano operativo. Non possiamo rinviare ulteriormente, e proprio per questo, nel pieno della guerra in Ucraina, è necessario sostenere con ogni forza chi sta lavorando in questa direzione. Oggi per domani. Ci sono gli obiettori di coscienza, i pacifisti e i nonviolenti ucraini, con le associazioni della società civile coinvolte nei processi di peacebuilding, la costruzione della pace e il rispetto dei diritti umani. Ecco noi crediamo sia necessario impegnarsi da una parte nell’accoglienza dei profughi e il Friuli Venezia Giulia sta facendo la sua parte, ma dall’altra noi crediamo sia altrettanto urgente impegnarsi per finanziare la resistenza nonviolenta. Abbiamo davanti due scelte diverse, entrambe legittime, quella dell’ulteriore invio di armi sempre più sofisticate e quella del sostegno alla nonviolenza organizzata in Ucraina, ma se l’industria bellica costruisce i fucili, la nonviolenza i fucili li spezza. Come riuscire a conciliare le visioni? Crediamo sia fondamentale mandare aiuti e finanziamenti alla nonviolenza organizzata in Ucraina, se vogliamo dare speranza ad un’altra idea di Europa e di mondo. Dobbiamo riuscire ad arrivare ad un cessate il fuoco.
Soprattutto chiediamo che si torni a far parlare i popoli, si torni a chiedere alle persone che possano esprimere la loro sorte, il loro futuro. Utilizziamo i corpi di pace non violenti ma per presidiare il rispetto della volontà popolare. Proponiamo e chiediamo che si dia la parola alla gente. Un referendum in cui le popolazioni del Donbass e della Crimea manifestino il loro volere, esprimano cosa vogliono per il futuro. Vogliono stare con l’Ucraina o con la Russia. E alla fine sia rispettato il loro volere e si ponga fine a una guerra sempre più assurda fatta sulla testa della gente e a cui a nessuno viene in mente di chiedere da che parte vorrebbe stare. Si sta guerreggiando per decidere al posto delle comunità cui non si vuole chiedere cosa vogliono. Che i popoli si autodetermino e che la loro volontà venga rispettata, soprattutto che il loro modo di manifestare le loro intenzioni e di prospettare il loro futuro sia tutelato e rispettato.
Chiediamo quindi con forza a tutte le forze organizzate e a tutte le forze politiche in campo di cominciare a fare un lavoro diplomatico serio dal basso, per dimostrare quale prospettiva politica si vuole avere e si vuole disegnare insieme a tutti i popoli della terra, pena la sopravvivenza stessa del pianeta! Con le armi si alimenta la guerra, con la nonviolenza si alimenta la pace, con il dialogo e la partecipazione si nutre il futuro. Gli stessi ucraini sanno che solo un cessate il fuoco potrà fermare la strage e che solo un lavoro diplomatico serio potrà fermare questa folle corsa alle armi.
Per OIKOS Onlus, Anna Paola Peratoner e Ofelia Libralato