Una lettura antropologica di un’ importante festività di Guaitarilla (Nariño)
Il Divino Bambino del Cabuyo. Una statua dalle dimensioni assai contenute, grande circa 20 centimetri, eppure ci può raccontare così tanto della comunità che ce l’ha tanto cara. In questo articolo esploriamo la magica storia di questa venerazione, ripercorrendo le origini di questo mito e il suo profondo significato.

La leggenda del Divino Bambino Gesù di Cabuyo
Tutto inizia circa 150 anni fa, nella Vereda del Cabuyo, una zona rurale di Nariño. La nostra protagonista Maria Solarte, una famiglia impegnata nell’allevamento di pecore per la produzione di lana e cibo. In un giorno di pioggia Maria visse un episodio che avrebbe cambiato per sempre il destino del villaggio. La madre di Maria, una giovane ragazza che si occupava del gregge, un giorno la mandò a portare le pecore al pascolo con una compagna. Mentre si trovavano in un campo circondato da cespugli di cabuyo, un’ agave americana, Maria scorse qualcosa che attirò la sua attenzione. Incontro così la piccola statua del Divino Bambino Gesù di Cabuyo.
Decise di portarla a casa con sé. Nel tragitto di ritorno dal campo, reggendo la statua tra le braccia, avvenne il primo miracolo. Nonostante la pioggia scrosciante, le sue vesti rimasero asciutte, mentre quelli della compagna si bagnarono completamente.
Maria cominciò a dedicare meno tempo alle faccende domestiche e le commissioni, poiché si dilettava a cucire vestitini per la statua. La madre, preoccupata per il crescente attaccamento della figlia alla statuetta, decise di intervenire. Seppellì il Bambino Gesù in una buca, per impedirle di continuare la sua venerazione. Questo non fermò Maria, che riuscì a ritrovare la statua e ricominciò a prendersene cura come un giocattolo, vestendolo e portandolo in un cesto.
Le stranezze non cessavano. Ogni volta che lo lasciava lo ritrovava in un luogo diverso, magicamente. Un giorno, Maria ebbe un sogno in cui la statua le parlò, rivelandole la sua natura divina. Disse: “Sono il Divino Bambino Gesù, figlio della Beata Vergine Maria”. Nel sogno, le chiese di non rinchiuderlo più nella scatola o di nasconderlo, altrimenti avrebbe tolto a Maria la vista. Maria, tuttavia, ignorò l’avvertimento divino e, poco dopo, perse la vista. Dopo un po’ ebbe un altro sogno, in cui il Bambino Gesù le chiese nuovamente di rimuoverlo dalla scatola, se voleva recuperare la vista. Questa volta Maria obbedì, lo rimosse dalla scatola dove lo conteneva e la vista le fu restituita.

I significati dietro alla storia del Divino Bambino del Cabuyo
Ogni 25 gennaio la comunità dei fedeli di Guaitarilla si ritrova per celebrare con devozione il Divino Bambino. La festa del Divino Bambino Gesù di Cabuyo rappresenta un fenomeno di grande interesse sotto il profilo sociologico e antropologico. La celebrazione di questa figura sacra offre numerosi spunti per analizzare il modo in cui le comunità locali interpretano la spiritualità, l’identità collettiva, e l’interazione tra sacro e profano.
Spiritualità popolare e devozione localizzata
La figura del Divino Bambino di Cabuyo è una manifestazione tipica della spiritualità popolare, quella dimensione della religiosità che emerge dalle pratiche e credenze dei fedeli al di fuori delle rigide strutture ecclesiastiche ufficiali. In molte comunità rurali, specialmente in contesti come Guaitarilla, la religiosità non è solo un atto di fede personale, ma un momento di identità collettiva. La venerazione del Divino Bambino si configura come un potente strumento di coesione sociale. Unisce la comunità attorno a un simbolo sacro che, seppur legato alla figura universale di Gesù Bambino, assume connotati profondamente locali.
In questo senso, la festa del Divino Bambino non è solo una manifestazione di devozione religiosa, ma anche una celebrazione della comunità. Essa diventa un’occasione per rafforzare i legami tra i membri della comunità, soprattutto in un contesto rurale dove la vita sociale è spesso caratterizzata da interazioni strette e di mutuo aiuto.
Il miracolo nella narrativa popolare
La leggenda del ritrovamento della statua, associata al primo miracolo del Divino Bambino, svolge un ruolo cruciale nel conferire un senso di sacralità e mistero alla figura. La storia di Maria Solarte, che trova la statua in un campo di Cabuyo, non è solo un atto di miracolo religioso, ma diventa una narrativa che legittima e rafforza l’identità culturale locale. La modalità con cui il bambino divino si manifesta, tramite segni straordinari come la protezione dalla pioggia, rende la figura ancora più vicina e tangibile per la popolazione.
Questa narrazione si inserisce in una tradizione più ampia della religiosità popolare latinoamericana, che si nutre di miti e leggende che rendono tangibile la presenza divina nel quotidiano. Il “miracolo” conferisce alla comunità una sorta di protezione e benedizione, creando un legame tra il sacro e l’ordinario, tra il divino e il quotidiano. Questo comportamento “miracoloso” della statua stimola la fede collettiva e alimenta la convinzione che la divinità sia attivamente presente nella vita quotidiana della comunità, pronta ad intercedere per la protezione e il benessere del popolo.
La nascita di un culto popolare
La punizione seguita dalla redenzione non è solo un messaggio individuale, ma diventa una narrazione collettiva. Maria, inizialmente sola nel suo rapporto con la statua, finisce per diventare un tramite tra la comunità e il sacro. Questo processo è tipico delle tradizioni religiose popolari, dove il culto non nasce dall’alto (come nelle istituzioni ecclesiastiche), ma dal basso, da un’esperienza vissuta che poi si diffonde e diventa patrimonio di tutti.
L’idea che la statua si sposti da sola, che reclami attenzione, rafforza il concetto che il divino non è immobile né distante, ma attivo nella vita quotidiana, capace di comunicare e intervenire direttamente. Questo tipo di narrazione rafforza il senso di appartenenza comunitaria, poiché ogni miracolo viene percepito come un segno del favore divino sulla collettività.
L’incontro tra sacro e profano nel culto popolare
Il profano: le cose del mondo. Il sacro: le cose divine. In questa storia è evidente l’intreccio di queste dimensioni. La storia inizia in un contesto assolutamente ordinario: una ragazza che bada al gregge, un campo di cabuyo, un pomeriggio di pioggia. Non c’è nessuna apparizione celeste, nessun intervento di un’autorità religiosa; il sacro si manifesta nel cuore della vita quotidiana, attraverso una statua trovata per caso. La religiosità popolare spesso riconosce il divino non solo nei luoghi consacrati, ma anche nella natura, negli oggetti e nelle attività domestiche.
L’idea che una semplice scultura possa essere portatrice di miracoli dimostra come il confine tra il materiale e il trascendente sia sottile. L’oggetto sacro non è solo una rappresentazione, ma una presenza viva e attiva. Questo è comune in molte culture, dove gli oggetti di culto acquisiscono potere proprio grazie all’interazione continua con i fedeli.
Uno degli elementi più interessanti della leggenda è il gesto di Maria che cuce vestiti per la statua. Questo atto è emblematico del modo in cui il sacro viene addomesticato, ovvero reso accessibile e intimo, attraverso pratiche quotidiane.
Cucire e vestire non sono solo atti funzionali, ma un modo per riconoscere l’autorità della statua e stabilire un rapporto personale con essa. Vestire il Bambino Gesù significa conferirgli dignità e cura, trasformandolo da semplice oggetto sacro a membro attivo della famiglia. Questo rispecchia una tradizione diffusa nella religiosità popolare, dove le statue vengono trattate come esseri viventi, lavate, cambiate d’abito, onorate in modo affettuoso e familiare.
Si tratta di un perfetto esempio di come il profano (il cucito, il gioco, la cura materna) si trasformi in un atto sacro, unendo devozione e quotidianità in un’unica pratica.
L’ostilità iniziale della madre di Maria rappresenta un altro aspetto fondamentale dell’interazione tra sacro e profano. Da un lato, la bambina vive la sua esperienza mistica in modo spontaneo, trattando la statua come un’entità familiare, quasi un amico o un fratello. Dall’altro, la madre vede questa relazione come un’intrusione nel ciclo normale della vita domestica. La sua decisione di sotterrare la statua non è solo un atto di disciplina nei confronti della figlia, ma può essere letta anche come un tentativo di riaffermare l’ordine del mondo profano, minacciato dalla presenza del sacro. Questo tipo di tensione è comune nelle storie di apparizioni e miracoli, dove spesso una figura autoritaria (genitori, sacerdoti, capi villaggio) inizialmente rifiuta il segno divino, temendo che destabilizzi l’equilibrio sociale.
Tuttavia, la resistenza della madre viene infine sconfitta: il sacro non può essere contenuto o ignorato, e trova il modo di riaffermarsi attraverso eventi miracolosi. Questo insegna che il divino si impone sempre sul profano, ma lo fa attraverso dinamiche umane, che coinvolgono il conflitto, la punizione e infine la rivelazione.

Le pratiche di culto e la socialità
La festa, con la sua celebrazione pubblica e comunitaria, funge da spazio di socializzazione. Le attività sociali, come la gastronomia, la musica e le danze, sono strettamente connesse alla religiosità e rappresentano un veicolo di coesione sociale. La partecipazione a tali eventi diventa un atto di solidarietà e di condivisione, in cui ogni individuo sente di appartenere a una comunità più grande. La tradizione di vestire la statua, curarla, e offrire preghiere collettive rafforza il senso di comunità, e ogni gesto compiuto durante la festa diventa un simbolo di unità e di continuità storica.
In questo contesto, la festa si intreccia con le dinamiche di sostegno reciproco tipiche delle comunità rurali. I momenti di celebrazione sono occasioni in cui i membri della comunità si aiutano a vicenda, non solo a livello pratico (preparazione del cibo, costruzione dei chioschi, etc.), ma anche spirituale, condivisione delle esperienze e delle tradizioni, tramandando valori da una generazione all’altra.

La punizione della cecità: obbedienza e sacrificio
La cecità della giovane Maria, causata dal suo ignorare le istruzioni del Divino Bambino, può essere letta come un simbolo di punizione spirituale e un monito sull’importanza dell’obbedienza religiosa. La cecità simbolizza un distacco dalla verità e dalla giustizia celeste. In questo contesto, la perdita della vista di Maria è un segno che, solo rispettando le indicazioni divine, si può accedere alla grazia e alla salvezza. La cecità diventa così un momento di sperimentazione dell’umiltà e della sofferenza necessaria per comprendere la sacralità della figura e il suo potere.
Siccome il Bambino incarna nella sua sacralità anche la misericordia e il perdono, una volta rispettato il suo provvedimento consentirà a Maria di riottenere la vista. Questo aspetto è centrale nelle società rurali: l’obbedienza alle forze superiori, siano esse di natura religiosa, familiare o comunitaria. L’idea che la trasgressione porti a una punizione diretta è un concetto ricorrente nelle culture contadine, dove l’ordine sociale si basa su norme rigide e sulla trasmissione del sapere attraverso le generazioni. La cecità simboleggia la separazione dalla “verità” e dalla grazia, ma anche la necessità di una redenzione che avviene solo tramite la piena accettazione della volontà divina.

Conclusioni: una tradizione che racconta un mondo
La venerazione del Divino Bambino di Cabuyo non è solo un racconto di fede, ma un riflesso profondo della società che l’ha tramandata. Attraverso il ritrovamento miracoloso, l’opposizione materna, il gesto della vestizione, possiamo leggere i valori e le credenze di una comunità rurale dove il sacro e il quotidiano si intrecciano senza soluzione di continuità.
Questa storia parla di obbedienza e ribellione, di autorità familiare e potere divino, di sacrificio e ricompensa. Maria, la giovane protagonista, incarna la figura della devota che sfida le regole del mondo terreno per seguire una chiamata spirituale. La madre, invece, rappresenta la resistenza all’irruzione del sacro nella vita domestica, ma anche la necessità di mantenere un equilibrio sociale e pratico.
Al centro di tutto, c’è il Bambino miracoloso, un simbolo di protezione e giustizia, ma anche di partecipazione attiva nella vita della comunità. Non è un’icona distante, ma un’entità viva, che chiede cure, che si sposta, che interviene nel destino delle persone. Questo spiega perché la festa in suo onore non è solo un evento liturgico, ma un momento di aggregazione sociale, un’occasione di scambio culturale e commerciale, un ponte tra passato e presente.
In definitiva, la leggenda del Divino Bambino di Cabuyo non è soltanto un racconto del passato, ma un esempio vivente di come le storie continuino a modellare il presente. È la prova che la cultura popolare non è qualcosa di statico, ma una realtà in continua trasformazione, capace di dialogare con il mondo moderno senza perdere il suo significato più profondo.
Il progetto ECO TUR INCA
Quest’anno il progetto ECO TUR INCA, finanziato dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo, ha supportato questa importante festività locale. Il team di ISAIS ha distribuito nuovi materiali, come fornelli, vetrine riscaldate, pentole, tavoli e sedie, per migliorare l’offerta turistica e accogliere al meglio i visitatori con prodotti gastronomici e artigianali.
La celebrazione del Divino Bambino, pur mantenendo i suoi elementi tradizionali, si inserisce in un contesto di turismo sostenibile che permette alla comunità di preservare le proprie radici culturali, offrendo al contempo una nuova opportunità economica. L’integrazione di strutture moderne per migliorare l’esperienza dei visitatori non solo rende la festa più accessibile, ma permette anche alla comunità di riappropriarsi delle proprie tradizioni attraverso l’uso di nuovi strumenti e pratiche che rispondono alle necessità contemporanee.

Questo intervento va oltre il semplice potenziamento delle infrastrutture: significa riconoscere e valorizzare i valori e la tradizione locale. Il sostegno alla celebrazione e alla comunità non è solo un investimento materiale, ma un modo per preservare e rinnovare un patrimonio culturale che continua a modellare il presente. Il progetto ha anche portato alla costruzione dei chioschi in guadua, che hanno offerto un riparo ai commensali nella bellissima, seppur piovosa, giornata di celebrazione. Un bel modo di ricordare il primo miracolo del Divino Bambino del Cabuyo!


Il progetto è realizzato insieme al Centro di Volontariato Internazionale (CeVi) e l’Instituto Sur Alexander Humboldt di Samaniego, Colombia. Per saperne di più vi consigliamo:
- Qui trovate la scheda riassuntiva: Eco Tur Inca_dowload
- Qui trovate gli aggiornamenti del progetto: Tutte le novità da ECO TUR INCA
- Qui trovate il nostro profilo instagram
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