Intervista al nuovo cooperante del progetto PACE BUENA
Christian Degasperi è il nuovo cooperante di Oikos all’interno del progetto PACE BUENA, a Buenaventura. Laureato all’Università di Trento in Economia Politica, specializzato con due master a Bogotà, uno in Costruzione della Pace, l’altro in Diritto Internazionale Umanitario, sono passati 20 anni da quando Christian Degasperi è approdato nella cooperazione internazionale. Ha lavorato in Mozambico, Equador, Guatemala e Colombia. Ora, all’ inizio di novembre, ci tornerà per lavorare come cooperante per il progetto PACE BUENA, finanziato dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo (AICS) nel quadro delle progettualità d’emergenza.
Puoi trovare più informazioni sul progetto qui.
Le Brigate Internazionali per la Pace
La prima esperienza di Christian in Colombia si è svolta insieme all’associazione di volontariato: Peace Brigades International, le Brigate Internazionali per la Pace. PBI è una organizzazione non-governativa internazionale fondata nel 1981 in Canada da un gruppo di attivisti non-violenti. E’ apartitica e aconfessionale. In Italia le PBI nascono nel 1988. Le PBI si occupano da decenni della difesa dei diritti umani: portano assistenza ai movimenti popolari impegnati nella ricerca di pace e giustizia, raccolgono documentazione e testimonianze su violazioni dei diritti umani, favoriscono il dialogo tra le parti coinvolte in un conflitto, e scortano fisicamente personaggi e comunità vulnerabili qualora la loro sicurezza sia minacciata. E’ proprio l’ accompagnamento protettivo una delle attività di supporto che le Brigate offrono.
Le Brigate sono molto attive in Colombia, da parecchio tempo. Mario Paciolla, il cooperante italiano assassinato nel 2020, ha coordinato dal 2016 al 2018 l’ufficio nazionale delle PBI a Bogotà. Lui stesso scortava e accompagnava avvocati e difensori dei diritti umani nei loro spostamenti.
L’esperienza di Christian Degasperi con le PBI inizia proprio in Colombia, sostenendo le comunità locali coinvolte nel conflitto armato, chiedendo insieme a loro il rispetto dei diritti umani. In particolare, ha lavorato insieme alle comunità sfollate dal conflitto, sia di contadini che di afro-discendenti, accompagnandoli nel processo di ritorno alle loro terre e di pacificazione. Dopo la firma del Patto di pace, firmato nel 2016, il suo lavoro è consistito nel verificare l’implementazione degli accordi di pace, l’accompagnare gli ex-guerriglieri nel processo di rientro alla vita civile, e assistenza dei civili.
Le comunità resistenti
Una delle caratteristiche delle comunità colombiane che più affascinano Christian è la capacità delle persone di riorganizzarsi, anche durante la guerra, andando oltre ai bisogni prettamente individuali, perché “per sopravvivere in un conflitto bisogna cooperare”. Interi gruppi di persone, sia in passato che nel presente, si uniscono per reclamare i propri diritti collettivi.
Christian ha lavorato in particolare con i gruppi più colpiti dal conflitto, con i contadini, indigeni e afro discendenti, poiché il conflitto si nutre del controllo della terra e delle sue risorse e conseguentemente della sua espropriazione e dello sfollamento delle popolazioni. E non si parla solo del conflitto armato: è importante ricordare l’impatto delle industrie estrattive dei minerali e del petrolio, delle multinazionali, dell’agricoltura intensiva (agrobusiness) della canna da zucchero.
La Colombia è già in possesso di leggi che tutelano le categorie dei soggetti vulnerabili (donne, indigeni, contadini, minoranze). Christian si augura che questi gruppi riescano a far applicare queste leggi.
“La Colombia rimane famosa per il narcotraffico, per le serie su Escobar… si parla poco dei grandi difensori dei diritti umani”. In effetti, come scrive Simone Ferrari, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano, per molte persone nell’immaginarsi la Colombia si basano sulle:
“rappresentazioni che conosciamo dalle serie tv, dove il narcotrafficante è l’antieroe urbano con un misterioso fascino anti-istituzionale. Sono narrazioni che hanno sempre lasciato indietro le regioni della Colombia in cui le persone soffrono di più la situazione del narcotraffico: le zone di produzione della coca e della marijuana”. [La resistenza Nasa – Simone Ferrari]
Tra i vari episodi a cui Christian fa riferimento, racconta della scoperta dei “Falsi Positivi”. Nel corso delle investigazioni della Giurisdizione speciale per la pace, l’organo giurisdizionale che si occupa di identificare i responsabili dei crimini commessi durante il conflitto, attraverso le testimonianze dei militari, è emerso che essi avevano ricevuto incentivi di diverso tipo (premi, vacanze, ferie, promozioni), che premiavano chi faceva più vittime. In teoria, le vittime per cui venivano premiati dovevano appartenere alle guerriglie.
In realtà è emerso che i soldati dell’esercito andavano in giro per il paese, e soprattutto nelle periferie delle grandi città come Medellin e Bogotà, a reclutare giovani uomini con l’offerta di un lavoro. Li giustiziavano, li vestivano con le divise dei guerriglieri, mettendogli anche gli stivali – a volte invertendo la destra con la sinistra, o vestendoli con divise con dei fori di proiettile che non combaciavano con le ferite sui cadaveri, o ancora facendogli impugnare armi finte. Poi li fotografavano, e nei giornali usciva la notizia dell’impresa dell’esercito che era riuscita a uccidere i guerriglieri. Si riferivano a loro come ‘basas’, cioè cose insignificanti, venivano buttati in fosse comuni.
Ancora una volta, questa pagina tragica della storia colombiana, è venuta alla luce grazie agli sforzi della società civile. Prendendo a modello il movimento argentino delle “Madri di Plaza de Mayo” le madri delle vittime si sono organizzate iniziando un percorso di indagine e denuncia dei ‘falsi positivi’. Si stima che le vittime siano state almeno 6.402 tra il 2004 e il 2008.
La sua guida in Colombia: Abelardo Ramos Pacho
Alla domanda: “c’è qualche figura o qualche personaggio che ti ha ispirato o che ha contribuito a formare il tuo pensiero e i tuoi valori?” Christian ha risposto “le comunità stesse”. Poi però ha aggiunto che una figura chiave nel suo percorso in Colombia è stata quella di Abelardo Ramos Pacho, uno dei leader e degli anziani (mayor) delle comunità Nasa. I Nasa sono una popolazione indigena delle Ande colombiane.
Abelardo Ramos Pacho è stato uno dei membri fondatori del CRIC (Consiglio Regionale Indigeno del Cauca), fondato il 24 febbraio 1971, a Toribío, da sette Consigli e altrettante riserve indigene. Il CRIC è considerata come la più antica organizzazione indigena formale. “E’ stato un amico, un collega che ha portato conoscenza e saggezza alla mia esperienza in Colombia”, ha detto Christian ricordandolo.
Le speranze e le aspettative di Christian Degasperi
La sua speranza è che le comunità resistenti e la società civile abbiano la forza per cambiare la storia della Colombia, per normalizzarla in qualche modo, per farla diventare un paese che rispetta i diritti umani, dove venga data la priorità agli interessi e ai bisogni della collettività, e non di poche imprese o individui.
Alla domanda ‘cosa ti aspetti dal progetto PACE BUENA e da Buenaventura?’, Christian risponde:
“Sicuramente mi aspetto di conoscere altre comunità resistenti, unioni di individui che insieme vogliono ricostruire e riequilibrare le proprie vite. Vorrei che la voce di queste persone fosse ascoltata, che i loro diritti siano rispettati”.
Il porto di Buenaventura è un porto importantissimo, dove circolano un’ enorme quantità di merci e di denaro. Eppure, la città e la popolazione sono poverissimi, e i suoi diritti sono calpestati. Al porto di Buenaventura circola anche molta, moltissima cocaina.
Christian ci tiene a sottolineare che se ci riferiamo alla droga non la si deve confondere con la Coca, poiché Coca (Erythroxylon Coca) è da millenni la pianta sacra per molti gruppi indigeni, oggi un simbolo della loro resistenza e perseveranza nel rivendicare la propria cultura e le proprie tradizioni millenarie. La pianta della Coca offre un aiuto fondamentale per resistere al freddo, alle fatiche del lavoro, e ha moltissime proprietà curative. [Leggi di più negli approfondimenti alla fine di questo articolo]
Buenaventura è famosa per la violenza. Ci sono due gruppi armati che si contendono il micro-traffico, le estorsioni, i rapimenti e il controllo territoriale. I civili rimangono senz’acqua, senza elettricità. Le comunità che abitano i territori intorno alle comunità vengono sfollate. In tutto questo, i movimenti umanitari (ad esempio il ‘movimento del paro civico’, hanno ottenuto degli accordi affinché lo stato garantisca loro i diritti fondamentali. Il compito di Christian e di Oikos a Buenaventura sarà di lavorare insieme a loro, per dare visibilità agli sforzi di questo gruppo, di amplificare la loro voce.
Christian ci aggiornerà regolarmente sul suo lavoro e sul progetto PACE BUENA. Se volete ricevere i suoi aggiornamenti potete:
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Non ci resta che augurare a Christian buon viaggio e buon lavoro!
Approfondimenti:
Strumenti per una pace duratura: Sistema integrato di Verità, Giustizia, Riparazione e Non Ripetizione
Basato sul rifiuto della crudeltà e della vendetta violenta per ricomporre i dissidi che caratterizzano il passato e il presente della società colombiana. In generale si occupa di:
- Identificare i reati nazionali e internazionali commessi durante il conflitto
- Riconoscere e identificare le vittime
- Affrontare i problemi sociali e politici che legati al conflitto
E’ composta da 3 sezioni:
Commissione per la Verità | Il Governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) il 4 giugno 2015 annunciano l’istituzione della Commissione per la Verità. I suoi obiettivi sono: 1. Fare luce sul conflitto e fornire una spiegazione esauriente delle sue cause e dei suoi effetti, 2. Sostenere e riconoscere socialmente le vittime garantendo loro che mai più si troveranno ad affrontare una situazione di conflitto come quella che ha devastato la Colombia negli ultimi 51 anni, 3.Promuovere la convivenza pacifica e il dialogo sul territorio. |
Giurisdizione speciale per la pace | Organo giurisdizionale che si basa sul concetto di giustizia riparativa, quindi non tanto incentrato sulla punizione dei carnefici, quanto sul dialogo tra le parti, l’accettazione dell’irreparabilità del male subito e/o perpetrato, e sulla restaurazione della situazione ante-guerra, “progettando azioni che possano lanciare un ponte di convivenza fra le persone, per ricostruire il tessuto sociale di una società sia a livello individuale che comunitario” [Adolfo Ceretti, 2022]. Prevede due tipi di misure: – sanzioni retributive – misure riparative |
Comitato Indipendente | Si occupa di selezionare i commissari della Commissione per la Verità e i magistrati della Giurisdizione Speciale per la Pace. Nella selezione dei magistrati, il Comitato ha scelto non solo tra i magistrati di ruolo, ma anche tra attivisti dei diritti civili e esponenti dei movimenti della società civile. |
Per saperne di più:
- Manual de Estructura del Estado Colombiano
- SISTEMA INTEGRAL D E VERDA D JUSTICIAR EPA RACIÓN Y N O REPETICIÓN (S IVJRNR)
- Milano-Bogotà. Percorsi di giustizia nella Colombia dopo gli accordi di pace
- La Colombia tra conflitto armato e trattative di pace: un’idea di Giustizia riparativa
I falsi positivi:
Leggi di più:
- I Falsos positivos: vittime della guerra e della politica colombiana – Flavia Famà
- L’esercito colombiano si scusa per lo scandalo dei “falsi positivi” – Agence France-Presse
Coca e cocaina
“Molti dei contadini dei paesi andini coltivano l’arbusto di Coca nei propri campi poiché questo ottiene il prezzo migliore sul mercato. Per loro gli introiti derivanti dalla pianta di Coca costituiscono la base esistenziale, con la quale nutrire sé stessi e la propria famiglia.
La Convenzione sulle droghe dell’ONU del 1961 ha inserito la pianta di Coca sulla lista delle sostanze controllate e contemporaneamente ne ha dichiarato illegale la coltivazione. In Perù, Colombia e Bolivia, le quantità di Coca coltivate sono severamente regolamentate da istanze nazionali e internazionali. L’esportazione è ammessa solo per un numero esiguo di imprese, il che ha di fatto creato un virtuale monopolio straniero sull’utilizzo del prodotto naturale andino.
Negli scorsi decenni sono stati soprattutto gli USA a impegnarsi anni nella lotta alla droga e quindi anche alla lotta contro la coltivazione della pianta attraverso anche la fumigazione aerea con diserbanti che oltre a distruggere l’arbusto della Coca, distruggono l’intero raccolto dei contadini. In Bolivia sono stati contemporaneamente finanziati progetti per coltivazioni alternative, che però non riescono a garantire ai contadini interessati introiti sufficienti per poter vivere dignitosamente. Uno dei progetti ha tentato di sostituire la coltivazione della Coca con la coltivazione del pepe, ma il progetto è miseramente fallito.
La legalizzazione della foglia di Coca permetterebbe alle popolazioni andine di aprirsi a nuovi mercati con prodotti quali il dentifricio, le tisane di Coca, prodotti cosmetici o bibite rinfrescanti. Grazie ai ricavati dalla pianta di Coca i contadini boliviani sono riusciti a costruire scuole, ospedali, strade e a istituire un sistema di assistenza sociale funzionante. Servizi che i governi finora non erano mai stati in grado di offrire alla popolazione contadina.
Togliere a queste persone la loro pianta ancestrale significa anche togliere loro la possibilità di una vita senza fame. Per loro la pianta della Coca non può essere relazionata con la pericolosa droga cocaina – per trasformare la pianta in droga ci vuole infatti un lungo e complesso processo chimico- ma è semplicemente una pianta sacra, che li accompagna da sempre, attraverso i secoli della loro storia”.
[Leggi di più: “La Coca non è cocaina“- Melanie Haller e Lena Windegger; “La coca, pianta sacra e curativa degli antichi inca – Ariadna Baulenas i Pubill]