Si è da poco conclusa la prima fase di “Economias Nuevas”, uno dei progetti di cooperazione internazionale di OIKOS in cinque comuni del Dipartimento del Nariño in Colombia. Economias Nuevas ha ottenuto il finanziamento dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia nell’ambito della Programmazione 2019-2023 della legge regionale 19/2000 ed è sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.
Tra le aule di legno del bellissimo “Centro per la Pace” – l’Espacio educativo para la Paz y el Buen Vivir – donne, giovani e agricoltori di Samaniego hanno seguito per tre mesi i corsi teorici e pratici di agroecologia e di produzione di pannelli fotovoltaici. L’obiettivo: integrare modalità produttive ecosostenibili nel sistema agricolo locale. Il grande successo del progetto e l’entusiasmo dei partecipanti hanno consentito l’avvio di una seconda fase.
Economias Nuevas ha dato l’opportunità a due giovani studentesse del nostro territorio, Elena Degli Uomini (San Daniele del Friuli) e Samantha Quargnul (Pradamano), di partire da volontarie per dare lezioni di inglese ai beneficiari del progetto; due settimane fa sono tornate in Italia con gli occhi pieni dei paesaggi e delle persone di Samaniego. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistarle e di ascoltare la loro esperienza.
Come avete scoperto il progetto Economias Nuevas?
S: È stato molto casuale; il progetto è finanziato dai nostri Comuni di residenza, e su Instagram una ragazza dell’amministrazione comunale di Pradamano aveva condiviso nelle sue storie il bando per fare domanda tramite il Comune. Ho pensato: “Questa estate non ho niente da fare, non ho nessuno con cui viaggiare: parto.” Ho poi scoperto che avrei dovuto mandare la domanda in Comune proprio all’ufficio dove lavora mia mamma. Quando le ho chiesto perché non mi avesse parlato di questo progetto, mi ha risposto che non pensava avrebbe mai potuto interessarmi. E invece eccomi qui, di ritorno da un mese in Colombia.
E: Io l’ho scoperto tramite la scuola che frequento: un’altra ragazza aveva fatto un’esperienza simile in Colombia; a scuola avevamo anche un referente di cittadinanza attiva che periodicamente ci mandava dei bandi e nel vedere questo ho deciso di provarci.
Cosa vi ha spinte a partire?
S: L’esigenza di continuare un percorso di cambiamento e di crescita che già era in atto quando mi sono trasferita a Bologna a studiare. Sai, sono una perfetta friulana – o almeno, pensavo di esserlo. Molto chiusa, legata alle sue sicurezze… L’esperienza universitaria a Bologna poi mi ha completamente stravolta, e nel cavalcare questo cambiamento ho deciso che era tempo di partire in Colombia.
E: Io sapevo che prima o poi avrei fatto un’esperienza del genere. E poi ero incuriosita dalla possibilità di scoprire l’altra parte del mondo, ma non con gli occhi turistici e con le sicurezze e le tutele che avrebbe avuto un turista: eravamo in un’area non molto facile.
A cosa ti riferisci?
E: Samaniego, il paesino in cui abbiamo vissuto, è sperduto nelle Ande. Prima di partire abbiamo dovuto seguire un corso di sicurezza, in preparazione all’esperienza! Abbiamo passato la prima settimana in isolamento: una scelta dell’associazione e dei cooperanti che ci ospitavano: era preferibile che gli abitanti si abituassero gradualmente all’arrivo di due europee.
Il progetto Economias Nuevas è finalizzato a ridurre la vulnerabilità economica e sociale delle donne, dei giovani e delle popolazioni rurali. Quali sono le problematiche vissute dagli indigeni in Colombia?
E: I colombiani, specie le popolazioni rurali, vivono in un contesto in cui sono obbligati a lavorare con la cocaina o comunque nell’illegalità. Crescono in un contesto in cui commerci di questo tipo sono completamente sdoganati, e non c’è la stessa percezione dell’illegalità che potrebbe avere un europeo nel proprio paese.
S: Manca un’alternativa. Immagino che molti abitanti non siano felici di assecondare questo stato di cose, ma se ti ribellassi verresti ucciso. Non c’è la possibilità di immaginare un cambiamento radicale dal basso.
Le popolazioni locali colombiane sono organizzate in piccole comunità o in cooperative di produzione. Il progetto di Economias Nuevas è ambizioso: tentare di convertire un sistema di produzione agricolo, in un territorio rurale, in cui certe modalità di coltivare sono fortemente radicate. Quali sono le barriere da abbattere affinché un progetto alternativo ed ecosostenibile come Economias Nuevas attecchisca?
E: Secondo me non si tratta tanto di fare in modo che un nuovo modello “attecchisca”; non si trattava di impiantare un nuovo modello su quello tradizionale, ma di integrare un modello ecosostenibile con qualcosa di già esistente. Mi pare che tutti usassero metodi ecosostenibili, ciascuno nel proprio modo. Sono popolazioni profondamente legate alla natura, perciò hanno il loro modo di assecondare i suoi cicli e di trarne i frutti. Paradossalmente, forse è più facile integrare un modello ecosostenibile in queste culture, particolarmente legate alla terra che coltivano da millenni con le stesse tecniche.
S: Confermo. Il progetto non intende snaturare lo stato delle cose, ma migliorarlo. Cerca innanzitutto di dare a tutti gli strumenti tecnici di base per implementare questo tipo di agricoltura; e poi lo fa nel rispetto di quello che sono e che fanno da secoli.
Ad esempio?
S: Estendendo su larga scala dei metodi che già conoscevano, o passando loro degli strumenti che rendano più efficienti tecniche che già conoscono.
Ma fino a che punto queste popolazioni erano consapevoli del tema dell’ecosostenibilità prima di conoscere questi progetti?
E: Secondo me non si rendevano neanche conto di essere “gentili” con l’ambiente. Non conoscono i macchinari e le tecniche che usiamo in Occidente, si affidano ai loro metodi tradizionali da millenni. Concetti come “ecosostenibilità” o “agroecologia” appartengono a strutture occidentali, nate quando in questa parte del mondo abbiamo realizzato che la questione climatica va affrontata attuando dei cambiamenti nei nostri sistemi produttivi.
E in che modo invece hanno recepito la parte “imprenditoriale” del progetto? Sono disposte a lanciarsi nell’avvio o nella conversione di un’attività in una modalità ecosostenibile?
E: Io li ho visti molto aperti. Ce li hanno presentati come persone molto chiuse, eppure io li ho visti molto interessati. Anna Paola, la cooperante di OIKOS che lavora a Samaniego, ci aveva accennato che c’erano altre persone interessate a partecipare, ma le iscrizioni si erano già chiuse e non c’è stato modo di inserire nuovi partecipanti… ma c’erano molte persone interessate a questi temi.
S: Soprattutto i partecipanti al corso di produzione di pannelli fotovoltaici erano in gran parte molto avanti con l’età, e già lavoratori con molta esperienza. Mi ha scaldato il cuore vedere come un signore di cinquant’anni, nonostante il suo lavoro, venisse volentieri a imparare. Nonostante avesse lavorato molti anni con un certo metodo di produzione, era disposto a mettersi in discussione e a imparare qualcosa di nuovo. In questo senso mi sono stupita non tanto dei giovani, quando degli adulti che hanno partecipato. Qui in Europa è molto diverso: dopo una certa età, se si ha un lavoro stabile e garantito, si fa fatica a mettersi in gioco con questa spontaneità.
Come ti spieghi questa differenza?
S: Non so se sia una questione di semplice umiltà o se provano anche la sensazione di “avere qualcosa da imparare”, da abitanti del terzo mondo coinvolti in un progetto nato in Europa.
E: Forse hanno una mentalità più aperta rispetto alla nostra. Avendone l’opportunità, decidono di fare qualcosa di nuovo pur senza averlo mai sperimentato. Hanno un modo semplice di vedere le cose, con cui colgono le opportunità in maniera spontanea, senza farsi troppe “paranoie” su se e quanto potrà tornargli utile.
Parallelamente a tutto questo, continua l’ampliamento dell’Espacio Educativo para la Paz in cui si sono svolte le lezioni teoriche di Economias Nuevas. I primi due livelli sono stati completati lo scorso giugno e altri due verranno ultimati nei prossimi mesi. Che atmosfera si respira in questo spazio?
S: Questa è una cosa che ci ha toccate da vicino! Stavano costruendo questo padiglione proprio accanto alla nostra camera, e dalle 7:30 eravamo svegliate dai rumori del cantiere! [ridono]
E: Le persone che abbiamo incontrato nel Centro per la Pace sono molto accoglienti; magari nei primi momenti ti guardano da lontano, ti fanno giusto un cenno di saluto, ma poi iniziano a coinvolgerti in una conversazione o a condividere il loro cibo. E poi si percepisce il senso del gruppo.
S: Sono anche molto flessibili nella relazione: durante le lezioni di inglese, eravamo noi le insegnanti e loro gli allievi, ma appena fuori dall’aula erano in grado di abbattere questa barriera e si relazionavano con noi in maniera calda e amichevole.
Avete avuto occasione di passare del tempo con i locali anche al di fuori dell’Espacio Educativo para la Paz. Una cosa che vi piace ricordare di quei momenti?
S: Il senso di protezione. Avevamo formato un gruppo con alcuni di loro, e una cosa che mi era piaciuta tantissimo è la sensazione di essere protetta. Conoscono la situazione, sanno che noi, da occidentali, veniamo notate più facilmente, e per strada o nelle zone in cui potevamo essere più esposte cercavano di garantirci il massimo conforto possibile.
E: A me è piaciuto molto il coinvolgimento: di fatto, noi non li conoscevamo. Eppure tutte le volte che siamo usciti insieme non hanno esitato a portarci in piccole escursioni a Samaniego, o a bere una cosa con i loro amici, a farci domande sulle nostre vite. Nonostante fossimo completamente estranee al loro contesto, ci hanno incluso.
Siete giovanissime: in che modo pensate che questa esperienza potrà aiutarvi a definire il vostro futuro?
E: Io sono tornata a casa con più consapevolezza rispetto a ciò che succede in America Latina. Dopo questa esperienza ci sono cose che guardo con occhi diversi, soprattutto le opportunità offerte dal mondo che ci circonda: cose che in Colombia un ragazzo della mia età non potrebbe mai fare, mentre io sì.
S: Provo lo stesso sentimento. E poi ho scoperto una parte di me che non pensavo esistesse: quella parte che ha iniziato a fare capolino quando ho deciso di lasciare Pradamano e di andare a studiare a Bologna, e che ha deciso poi di cogliere l’occasione della Colombia quando si è presentata.
Avete in programma di tornare in Colombia o altri progetti di cooperazione?
E: Se dovesse capitare un’occasione simile sì, penso che tornerei lì.
S: Vorrei stabilirmi in Colombia per un po’ dopo la laurea triennale, che conto di finire il prossimo luglio; nel frattempo, pianifico di tornarci un mesetto durante quest’anno, incastrando questo viaggio con gli studi.
Davvero bellissimo! Grazie per il vostro tempo.